“Si decide per età e per condizioni di salute.
Come in tutte le situazioni di guerra.
Non lo dico io, ma i manuali sui quali abbiamo studiato”.
Esordisce così, in un’intervista al Corriere della Sera, Christian Salaroli, dirigente medico, anestesista rianimatore dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
Sulla gestione dell’emergenza, allo storico quotidiano, dichiara:
“All’interno del Pronto soccorso è stato aperto uno stanzone con venti posti letto, che viene utilizzato solo per eventi di massa.
In quei letti vengono ammessi solo donne e uomini con la polmonite da Covid-19, affetti da insufficienza respiratoria.
Li mettiamo in ventilazione non invasiva, che si chiama Niv.
Il primo passo è quello.
Al mattino presto, con i curanti del Pronto soccorso, passa il rianimatore.
Il suo parere è molto importante.
Oltre all’età e al quadro generale, il terzo elemento è la capacità del paziente di guarire da un intervento rianimatorio.
Vi ricordo che questa indotta dal Covid-19 è una polmonite interstiziale, una forma molto aggressiva che impatta tanto sull’ossigenazione del sangue: i pazienti più colpiti diventano ipossici, ovvero non hanno più quantità sufficienti di ossigeno nell’organismo.
Subito dopo, siamo obbligati a scegliere.
Nel giro di un paio di giorni, al massimo.
La ventilazione non invasiva è solo una fase di passaggio.
Siccome purtroppo c’è sproporzione tra le risorse ospedaliere, i posti letto in terapia intensiva, e gli ammalati critici, non tutti vengono intubati.
A questo punto, diventa necessario ventilarli meccanicamente.
Quelli su cui si sceglie di proseguire vengono tutti intubati e pronati, ovvero messi a pancia in giù, perché questa manovra può favorire la ventilazione delle zone basse del polmone.
Per consuetudine, anche se mi rendo conto che è una brutta parola, si valutano con molta attenzione i pazienti con gravi patologie cardiorespiratorie, e le persone con problemi gravi alle coronarie, perché tollerano male l’ipossia acuta e hanno poche probabilità di sopravvivere alla fase critica.
Se una persona tra gli 80 e i 95 anni ha una grave insufficienza respiratoria, verosimilmente non procedi.
Se ha una insufficienza multi organica di più di tre organi vitali, significa che ha un tasso di mortalità del cento per cento.
Ormai è andato.
Questa è una frase terribile, ma purtroppo è vera: non siamo in condizione di tentare quelli che si chiamano miracoli.
È la realtà.
In tempi normali si valuta caso per caso, nei reparti si cerca di capire se il paziente può recuperare da qualunque intervento.
Adesso questa discrezionalità la stiamo applicando su larga scala”.