Diverse sono state le polemiche che sono seguite alla conferenza stampa tenuta dal Presidente Conte sulla tanto attesa “Fase 2” legata all’emergenza Coronavirus.
Una di queste, come in molti ricorderanno, è nata dalla lettura dell’articolo 1 del testo del provvedimento, in vigore il 4 maggio, che recita:
“a partire dal 4 maggio prossimo saranno considerati necessari gli spostamenti per incontrare congiunti, purché venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento interpersonale di almeno un metro e vengano utilizzate protezioni delle vie respiratorie”.
A sedare gli animi è intervenuto lo stesso Presidente da Palazzo Chigi, il quale ai microfoni dei giornalisti ha chiarito:
“E’ una formula ampia e generica, voglio anticipare che non significa che si potrà andare a casa altrui a trovare amici e fare feste.
Si andranno a trovare persone con cui ci sono rapporti di parentela o stabili relazioni affettive ma non significa ‘incontriamoci tra amici nelle case e diamoci pacche sulle spalle’.
Un quarto dei contagiati è negli appartamenti, in casa e nelle abitazioni private.
Ci sono misure studiate, non significa che dobbiamo buttare a mare tutti i sacrifici fatti”.
Vediamo allora, nel dettaglio, chi sono i congiunti.
Come si legge sul “Il Sole 24 ore”:
“I coniugi
Rientrano tra i “congiunti”, in quanto essi lo sono “per definizione”.
Quindi, se un coniuge risiede a Milano, ove lavora, può serenamente recarsi a Sondrio dove risiede l’altro coniuge.
I parenti
Sono parenti le persone che discendono da un medesimo stipite (articolo 74 del Codice civile): nonno e nipote sono parenti perché entrambi discendono dal bisnonno, mentre due fratelli sono parenti perché entrambi discendono dal padre.
Nonno e nipote si dicono parenti in linea retta di secondo grado in quanto discendono l’uno dall’altro e perché tra essi intercorrono due generazioni (articolo 75 e 76 del Codice civile). Due fratelli sono parenti in linea collaterale di secondo grado in quanto non discendono l’uno dall’altro e perché salendo da un fratello allo stipite comune (il padre) e ridiscendendo fino all’altro fratello si incontrano due generazioni.
In base al medesimo ragionamento zio e nipote sono parenti in linea collaterale di terzo grado e due cugini sono parenti in linea collaterale di quarto grado.
La parentela non è riconosciuta oltre al 6° grado (articolo 77 del Codice civile): per aversi due parenti entro il 6° grado bisogna pensare al rapporto che intercorre tra i figli di due cugini.
Se, dunque, ci si chiede se i “parenti” siano anche “congiunti” la risposta pare poter essere senz’altro affermativa. E, quindi, si devono ritenere “congiunti”, in mancanza di prescrizioni limitatrici, tutti coloro tra i quali intercorre un vincolo di parentela.
Gli affini
Alla stessa conclusione si deve giungere con riguardo agli “affini”: essi sono (articolo 78 del Codice civile) i parenti di un coniuge rispetto all’altro coniuge. Ad esempio: i suoceri (i genitori del proprio coniuge), la nuora (la moglie del proprio figlio), il genero (il marito della propria figlia), i cognati (i fratelli e le sorelle del proprio coniuge).
In base alla regoletta latina secondo cui adfines inter se non sunt adfines (gli affini tra di loro non sono affini), non vi è alcun rapporto giuridico tra i parenti dei coniugi.
Come detto, l’affinità riguarda infatti i rapporti tra uno dei coniugi e i parenti dell’altro coniuge e non il rapporto di questi parenti tra loro.
Insomma, è ammesso che la nuora vada a trovare la suocera e che il marito vada a prendere un thè dalla propria cognata.
I soggetti partecipi di un’unione civile
Le persone del medesimo sesso che hanno stipulato una unione civile sono parificate quasi del tutto alle persone che hanno contratto un matrimonio “tradizionale” (quindi gli uniti civili, tra loro, sono sicuramente da considerare come “congiunti”).
Nell’ambito delle situazioni non parificate rientra però il rapporto di “affinità”.
L’articolo 1, comma 20, legge 76/2016, in effetti, afferma che quando la legge parla di “coniuge”, il riferimento va inteso come comprendente anche il soggetto partecipe di una unione civile.
Però, questa norma sancisce che la parificazione non si applica alle norme del Codice civile non richiamate espressamente nella legge 76/2016: ebbene, la normativa sull’affinità non è richiamata e, pertanto, tra un unito civile e i parenti dell’altro unito civile non si origina un rapporto di affinità.
Si apre quindi il dilemma se essi, dunque, siano, o meno, “congiunti”: avendo il legislatore utilizzato un termine atecnico, a significare che si possono incontrare coloro che hanno strette relazioni personali, appare possibile concludere che anche su costoro non dovrebbe gravare il divieto di spostamento e di incontro.
Altrimenti vi sarebbe l’assurdo che due cugini si possano tranquillamente incontrare mentre un unito civile (o un convivente di fatto) non potrebbe incontrarsi con i figli o i genitori dell’altro componente della coppia.
I conviventi di fatto
Si dice convivenza di fatto il rapporto tra due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
La convivenza di fatto non genera “affinità” tra uno dei conviventi e i parenti dell’altro.
Quindi, nel caso della visita che un convivente desideri compiere al genitore dell’altro convivente, deve ripetersi ciò che si è argomentato sopra in ordine ai soggetti civilmente uniti.
I fidanzati e gli amici
Se si ammette di estendere il concetto di “congiunti” a qualsiasi relazione affettiva o amichevole, la norma in commento sarebbe svuotata di contenuto, perché non vi sarebbe evidentemente più alcun limite al suo perimetro applicativo.
Quindi, presupponendo che il legislatore non abbia voluto questo risultato, pare di doversi concludere che chi ha relazioni affettive “non giuridicamente strutturate” debba pazientare ancora un po’.
Certo che se si usasse lo stesso criterio per individuare gli aventi diritto al risarcimento del danno morale, il concetto di “congiunto” dovrebbe estendersi a qualsiasi soggetto con il quale si abbia una relazione affettiva a prescindere dall’esistenza di rapporti di parentela o affinità (e, quindi, ad esempio, anche al “fidanzato”): le Sezioni Unite della Cassazione (n. 9556/2002) hanno infatti affermato il principio in base al quale ai “prossimi congiunti” della persona che ha subito lesioni, a causa del fatto illecito altrui, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato, in relazione alla particolare situazione affettiva intercorrente con la vittima.
Quindi, fidanzati compresi come ribadito da giurisprudenza successiva (sentenza 10 novembre 2014, n. 46351)”.