Riceviamo e pubblichiamo il Comunicato stampa di Uil fpl:
“In Italia ma anche in Basilicata nuovo record di medici ed operatori sanitari che hanno lasciato gli ospedali pubblici per migrare verso il privato o la medicina generale o molti migrano verso il nord.
Il fenomeno delle dimissioni dagli ospedali, con i medici ed operatori sanitari che decidono di abbandonare il tanto ambito e prestigioso posto a tempo indeterminato in Ospedale, è una evidenza recente.
La vera impennata c’è stata con la Pandemia.
Da sempre un certo numero di operatori sanitari decidono di cambiare lavoro, ma i dati del Conto Annuale del Tesoro evidenziano che dal 2017 in tutta Italia come in BASILICATA si assiste a una vera e propria esplosione del fenomeno, con un trend in progressivo aumento fino al 2020.
Degli eroi ci si è presto dimenticati, con riferimento all’impatto della pandemia.
Nelle ondate successive alla prima, i medici e gli operatori sanitari in Basilicata hanno lavorato e si continua a lavorare sempre nella stessa impreparazione e improvvisazione organizzativa di Marzo 2020 che ci segnalano quotidianamente.
Letti e professionalità riconvertiti a seconda delle necessità, senza alcuna condivisione delle decisioni.
Operatori spostati come pedine, un nome in una casella, non di rado vuota causa infezione da Sars-CoV-2.
Alla gestione dei malati Covid, per i medici ospedalieri e gli operatori sanitari si è aggiunto il carico della campagna vaccinale e del recupero di drammatiche liste d’attesa.
E tutto questo, compreso l’enorme carico emotivo delle morti per Covid, in un contesto che già lamentava pesanti carenze di organico e senza alcuna incentivazione ed in molti casi stiamo ricorrendo per via legale, per il riconoscimento dei buoni pasti negati al personale turniste e le varie indennità di rischio non riconosciute.
E dunque, nel 2021, molti anche in Basilicata hanno deciso di lasciare la dipendenza dal SSN e proseguire altrove.
Ma cosa cercano i medici e gli operatori sanitari che si licenziano?
La domanda sarebbe d’obbligo, per chi volesse in qualche modo limitare la fuga, salvare la nave che affonda, cercano orari più flessibili, maggiore autonomia professionale, minore burocrazia.
Cercano un sistema che valorizzi le loro competenze, un lavoro che permetta di dedicare più tempo ai pazienti.
Vogliono poter avere una vita privata e non sacrificare la famiglia.
Anche a causa del blocco del turnover, i turni di servizio per i singoli operatori sono in netto incremento numerico negli ospedali italiani, con weekend quasi tutti occupati da guardie e reperibilità, difficoltà perfino nel godere delle ferie maturate, straordinari non retribuiti.
Il lavoro non solo è diventato sempre più gravoso ma gli operatori sanitari sono costretti quotidianamente ad affrontare rischi crescenti legati ad aggressioni, sia verbali che fisiche, e denunce in sede legale.
In particolare è da considerare che la presenza delle donne in sanità è in progressivo aumento e i turni disagevoli previsti dal lavoro in Ospedale non consentono loro di dedicarsi alla famiglia come vorrebbero.
Per evitare il disastro è necessario procedere alla rapida stabilizzazione del precariato e serve un cambiamento radicale nella formazione post-laurea.
Occorre, in pratica, anticipare l’incontro tra il mondo della formazione e quello del lavoro, oggi estranei l’uno all’altro, animati da conflittualità latenti o manifeste e contenziosi infiniti, consentendo ai giovani medici specializzandi di raggiungere il massimo della tutela previdenziale e al sistema sanitario di utilizzare le energie più fresche per far fronte ad una importante carenza che si prolungherà ulteriormente per i prossimi anni.
Serve un cambiamento radicale, che veda i medici ospedalieri e gli operatori sanitari come attori e i pazienti come obiettivo.
Mentre ad oggi l’obiettivo prioritario è fare annunci, compreso l’apertura delle 26 case della salute che deve fare i conti con la carenza di organico, nonché dare l’impressione che tutto funzioni negli ospedali e possibilmente raggiungere il pareggio di bilancio”.