Un intervento “sul lavoro povero” entro l’estate, da sviluppare poi con un’azione “sistematica sulla contrattazione” e un taglio del cuneo fiscale “su base pluriennale”.
È quanto annuncia il ministro Andrea Orlando, in un’intervista a ‘Repubblica’:
“Un salario minimo oggi manca solo in sei Paesi Ue, tra cui l’Italia: la direttiva europea sul tema ci aiuterà a introdurlo?
«La direttiva può aiutare a costruire in Italia un equilibrio tra contrattazione e salario minimo, indicando i criteri di un livello equo.
Se ne discuterà quando arriverà la fase del recepimento, ma intanto ci offre spunti per iniziare a fare passi avanti subito».
Iniziare da dove? Stando all’Ocse, in Italia gli stipendi sono calati rispetto al 1990.
«Sono dati di trent’anni, non della settimana scorsa: si è ritenuto di risolvere tutto rendendo più flessibile il lavoro, ma non è stato così.
Ora la cosa più importante è iniziare a dare un po’ di fiato ai lavoratori e discutere di precarietà, perché rischiamo si sommino più effetti: salari bassi, curva demografica negativa ed emigrazione di molti giovani.
Una dinamica che può incidere a sua volta negativamente sulla produttività.
Rischiamo di perdere un’intera generazione.
È una discussione che non riguarda solo l’Italia, ma l’Europa e il mondo occidentale».
Ma il governo come vuole agire?
«Tenendo insieme tre livelli. Nell’immediato, dare fiato ai salari più bassi con un intervento sul lavoro povero.
Poi un’azione sistematica sulla contrattazione che garantisca un rinnovo tempestivo dei contratti e meccanismi che tengano conto, senza automatismi, dell’inflazione.
E infine un intervento pluriennale di taglio delle tasse sul lavoro, a partire dalla prossima manovra.
Questi tre livelli si tengono insieme, non vanno contrapposti come fa qualcuno».
Sono elementi del patto sociale evocato dal presidente Draghi?
«Avevamo già avviato un percorso in tal senso, che è stato purtroppo spiazzato dalla guerra. Ma intanto stiamo lavorando per traguardare un accordo più specifico contro il lavoro povero».
Di che si tratta?
«Ho avanzato alle parti sociali in via ufficiosa un’ipotesi: prendere come salario minimo il Trattamento economico complessivo (Tec) dei contratti maggiormente rappresentativi, settore per settore.
Basterebbe una norma semplice di recepimento di questo principio. L’effetto sarebbe alzare il livello dei salari più bassi».
Ma Confindustria ha forti dubbi sul Tec, le posizioni con i sindacati sembrano distanti.
«Non vedo impraticabilità assolute, penso possa essere una prima risposta per sottrarre centinaia di migliaia di lavoratori al rischio povertà».
In che tempi pensate di riuscire?
«La proposta è sul tavolo, penso sia ragionevole arrivare ad alcuni punti condivisi prima della pausa estiva, ma è chiaro che i tempi sono definiti anche dalla disponibilità delle parti a convergere, anche con eventuali modifiche».
Carlo Bonomi dice che il tema non riguarda Confindustria, perché ha contratti con soglie superiori ai 9 euro. Dice di più: che lei non ascolta le imprese.
«Non è del tutto vero perché alcuni contratti sono stati rinnovati a un livello superiore, ma ci sono ancora contratti non rinnovati che stanno sotto quella soglia, soprattutto nei servizi.
La questione, che riguarda tutti, però, è un’altra: come si dà più forza a quei contratti e si consente di intervenire anche nelle imprese dove il “contratto buono” non produce i suoi effetti.
In questi mesi, sulla base dell’ascolto, abbiamo modificato molte proposte e fatto diversi accordi. Credo che Bonomi voglia solo fare polemica».
Salvini, Tajani, Meloni chiedono di tagliare il cuneo fiscale, come gli industriali, più che parlare di salario minimo.
«Chi guadagna 700-800 euro al mese ha bisogno di risposte, non di benaltrismo.
Parliamo di salari, poi di cuneo fiscale e vediamo come interagiscono le due cose, invece di inventarci ricostruzioni fantastiche delle cause dei bassi salari».
Si riferisce alle accuse al Reddito di cittadinanza?
«Si può alimentare l’idea – non sorretta però dai numeri – che il Reddito crei vuoti di occupazione in alcune filiere, ma nessun economista si spinge a ritenerlo la causa dei bassi salari.
L’altro giorno Meloni ha detto che i lavoratori immigrati determinano un dumping salariale verso gli italiani: è una fantasia, non ci sono per fortuna nel nostro Paese contratti su base etnica».
Ma state lavorando per correggere ancora il Reddito?
«No, stiamo dando corso alle modifiche definite con la legge di bilancio.
Un ulteriore intervento allo studio è finalizzato a rendere più compatibile percepire per alcuni mesi un reddito da lavoro con il Reddito di cittadinanza.
Ci stiamo confrontando con i ministri Garavaglia e Franco».
La campagna per le comunali preannuncia un clima incandescente in vista delle prossime elezioni politiche: ci sono rischi per la tenuta del governo?
«Certo che ci sono, bisogna scongiurarli.
Aiuterebbe molto ancorare la discussione a dati di fatto, perché veniamo da anni in cui il veleno populista ha introdotto fake news come basi della discussione, anche per chi si dice antipopulista.
Inoltre si ha la sensazione che alcuni politici prendano le decisioni in base a quello che dicono loro le persone che li avvicinano per un selfie.
Ecco perché c’è voluta l’inflazione a mettere tutti di fronte al fatto che i salari non crescono»”.