Il 14 Agosto del 1851 un violento terremoto di magnitudo 6.4 colpì il Vulture-Melfese.
Erano le ore 14:20 quando la furia devastatrice del sisma si abbatté sui comuni posti alle pendici del Monte Vulture, portando con sé morte e distruzione.
Numerosi edifici, pubblici e privati, furono gravemente danneggiati o crollarono completamente.
Si contarono centinaia di morti tra Rionero, Barile, Rapolla, Atella e Venosa, ma fu Melfi a pagare il prezzo maggiore.
Giacomo Maria Paci, ne “Il terremoto del 1851 in Basilicata”, descrive lo spettacolo che si presentava, all’indomani del sisma, nella Città federiciana:
“Le quattro chiese parrocchiali in cui è la città divisa, cioè quella di S. Teodoro, di S. Nicola, di S. Lorenzo, e del Carmine; la chiesa ed il convento degli Osservanti; la Confraternita laicale de’ morti; il monastero delle Chiariste sotto il titolo di S. Bartolomeo; l’Orfanotrofio, tutto è andato in rovina; insomma non vi è rimasto incolume un sol edificio sia pubblico, sia privato; e quelli che sono in parte crollati han d’uopo d’essere abbattuti; tanto son guasti e sfasciati! Che anzi dalla chiesa di S. Agostino dietro alla quale erano in alto le prigioni, sino alla porta che dicesi del Bagno, tutto è rovesciato e pareggiato al suolo in modo, che camminando alla meglio sulle ammonticchiate macerie si va tant’alto quanto lo erano le finestre delle più elevate case”.
Per la ricostruzione dei territori danneggiati, nei Comuni di Atella, Rionero, Melfi, Rapolla, Barile furono istituiti, con Real rescritto del 2 Settembre 1852, dei Consigli edilizi presieduti dai rispettivi sindaci e composti da tre membri: due scelti tra i proprietari più facoltosi e un architetto.
Anche il re delle Due Sicilie, Ferdinando II, volle visitare i centri in macerie per rendersi conto personalmente dell’entità del disastro: si recò a Melfi a distanza di un mese dall’accaduto, nel pomeriggio del 15 Settembre.
Del terremoto sono state eseguite incisioni e dipinti, anche dal vero, a testimoniare la brutalità dell’evento.
Quello che vediamo in copertina, ad esempio, è un dipinto di Nicola Palizzi che ritrae Melfi subito dopo la catastrofe.