Ormai alle porte la tanto attesa Via Crucis che prenderà vita a Barile.
Dense di significato sono le scene drammatiche magistralmente rappresentate della passione di Cristo a cui assistono gli abitanti di Barile e la folla accorsa dai paesi limitrofi e da tutta la Basilicata.
Ecco una descrizione dal libro di Antonio Paternoster ( Radici, Fede e Tradizioni):
“Fervono i preparativi nella comunità Arbëreshë per la Sacra Rappresentazione più antica d’Italia.
Barile è pronta come da oltre 400 anni a far rivivere la passione della morte di Cristo.
È una comunità che aspetta con ansia di riprendere il proprio cammino interrotto dalla pandemia.
Mai il popolo di barile aveva rinunciato alla sua “mssiona”.
Nel silenzio mattutino si sente in lontananza il suono della tromba che dal 19 marzo, giorno di San Giuseppe, annuncia l’avvicinarsi della processione.
Barile ogni anno si sveglia, si distende, si galvanizza, si prepara a vivere la sua grande giornata della Settimana Santa: merito della secolare tradizione che vede nella nostra cittadina la perpetuazione della passione di Cristo.
Ogni abitante in cuor suo incomincia a rivivere l’impegno interiore per la manifestazione.
Il paese vive in funzione di questo avvenimento.
Tutti, direttamente o indirettamente, sono coinvolti (basti pensare che la manifestazione conta 25 gruppi di personaggi ed interessa ben 116 persone).
Adulti, giovani, giovanissimi, ragazze, e bambine conoscono, ormai, bene il loro ruolo.
Nelle ore pomeridiane del Venerdì Santo il dramma di Cristo scorre per le vie del paese, la folla assiste a questa pantomima con silenziosa e visibile emozione.
I contenuti simbolici della rappresentazione vanno ricercati sia nella direzione spiccata- mente religiosa sia in quella particolarmente paganeggiante:
- nella presenza di personaggi realmente cristiani al tempo della condanna di Cristo;
- in quelli creati dalla fantasia popolare;
- nei personaggi che soffrono ed in quelli che godono nella loro alterigia;
- nella serietà con cui i giovani interpretano i vari ruoli;
- nella fastosità e contemporanea semplicità dei costumi. Nella Chiesa Madre, luogo di partenza del corteo, sostano gli interpreti in preghiera davanti al Sepolcro, mentre il sacerdote recita il Passio, secondo Giovanni.
Quindi il Cristo, scortato dai soldati romani, viene portato al cospetto di Pilato che lo condanna alla crocifissione.
Il corteo inizia con i centurioni a cavallo, seguono le Tre Marie e 33 ragazze che custodiscono gli oggetti- simbolo della passione.
I Dottori della legge ebraica camminano con passo diversificato rispetto agli altri personaggi.
La maggiore cadenza ritmica è segno evidente di inquietudine. ù
Seguono i soldati romani a guardia di Cristo con la colonna.
Si tratta di una delle figure simboliche del Cristo fustigato: è un personaggio incappucciato, anonimo, che fa voto e quindi si sottopone a grandi sofferenze.
In una situazione in cui predominano la commozione ed il dolore, la Zingara ride gioiosa e mostra i suoi ori.
In mezzo a tanta sofferenza assume atteggiamenti di spavalderia, essendo una figura fuori del contesto tradizionale della fede cattolica.
Il malco invece non ha posto fisso nell’ordine di successione dei personaggi.
Si tratta del primo dei due personaggi che la tradizione barilese e la fantasia popolare colloca nella Sacra Rappresentazione.
L’Ecce Homo, è la raffigurazione del Rex Iudeorum a cui è stata fornita una canna come scettro.
E incappucciato, non si conosce la persona, fa voto, si sottopone a sacrificio.
Il Moro è il secondo dei due personaggi che vuole la tradizione popolare.
Non ha una identità precisa, è un personaggio di contrasto.
Il Cristo sofferente porta la croce, cade tre volte sotto il peso del pesante legno, viene aiutato dal Cireneo.
Il rito della Passione, qui a Barile, assume una forma di svolgimento primitivo, in un intreccio sempre presente di tradizione, superstizione e religione, che si compendia in invocazioni penitenziali.
Sebbene faccia parte di quel tipo di cultura, che oggi viene definita marginale, è tuttavia carico di quelle espressioni mistico-religiose destinate a contrastare i luoghi comuni e la degenerazione dei rapporti sociali.
Gesù cade per la prima volta.
Subentra un nuovo e significativo personaggio: la Veronica che, visto il così malandato, gli si inginocchia davanti e, sfidando le ire dei soldati romani, gli asciuga Figlio di Dio il volto intriso di sudore e sangue.
Da queste immagini traspaiono evidenti ed inconfutabili le sofferenze dei due interpreti, che si eguagliano a quelle di molti altri personaggi.
Nel ritirare il panno si avvede che il volto del Cristo è rimasto impresso nel grembiule.
Il corteo si chiude con la presenza delle statue del Cristo morto e dell’Addolorata, preceduti dal sacerdote che invita i fedeli alla preghiera e alla meditazione dei misteri, per rendere l’azione liturgica più corrispondente alla manifestazione sacra.
Una lunga fila di fedeli segue la “Via Crucis” e canta motivi popolari di riferimento celebrativo alla Pasqua.
Il dramma di Cristo si rivive qui, per oltre quattro ore, per le strade scoscese del paese in tutti i suoi risvolti emotivi, sentimentali, di devozione, di curiosità.
Il popolo osserva silenzioso e mesto la grande scena che si svolge sotto i suoi occhi.
In questo giorno, perciò, abitanti e partecipanti rivivono una vicenda umana e religiosa particolare ed una fede singolare, in cui il sincretismo religioso assume toni culturali veri e propri, originali e per nulla mutati nel tempo.
Per cui, accanto alle drammatiche scene del dolore, a fianco a personaggi che conservano molto fedelmente le descrizioni evangeliche convivono elementi assolutamente originali, per i quali la realtà storica ed i principi di fede concedono il passo alla fantasia popolare.
Il corteo continua il suo corso tra le viuzze cittadine.
Una folla immensa si accalca per vedere, alcuni evidenziano segni di commozione quasi a significare di essere essi stessi personaggi e partecipi con fede alla vicenda di Cristo.
Questa tradizione, tanto dirompente nel trasporto emotivo, ma altrettanto varia, per certi versi sconcertante, fa sì che la religione acquisti un profondo significato che trascende quello puramente letterario e continui nella stessa pratica giornaliera nella lotta per l’esistenza.
Questi rituali sincretici, quindi, si possono definire come l’identificazione dell’uomo con i suoi problemi.
La cerimonia è realmente sentita dall’intera popolazione, che per l’ingenua convinzione che sia possibile superare la distanza tra l’uomo e Dio per effetto del compimento di un rito, fa sì che la rappresentazione del calvario di Cristo diventi una forma di espiazione.
Cosa importa se fede cattolica, contenuti religiosi e paganesimo sembrino convivere, che l’elemento pagano e di fantasia popolare sia prevalentemente ed estremamente determinante sull’effetto scenico?
Ciò che conta è che in questi momenti ci si senta accomunati da uno stesso filo invisibile che fa dimenticare le proprie ansie.
Due immense ali di folla fanno da scenario per tutto il percorso che prosegue in salita. Gesù cade per la seconda volta fra la gente che si accalca e vive questi istanti con intensa commozione.
La fustigazione, le violenze, le catene, l’oppressione che queste immagini rievocano non sono una pantomima senza alcun nesso con la realtà, fanno, invece, parte integrante della vita e dell’esistenza quotidiana della nostra gente.
Le catene, le percosse e la lotta per la sopravvivenza non sono state estranee alle popolazioni del Vulture; la folla, quindi, diventa tutt’uno con persona e personaggio, mostra pietà per le sofferenze che giovani, ragazzi e bambini nudi, scalzi, costretti a sostenere pesi e posizioni costantemente scomode, stanno sopportando.
Non c’è dubbio che si assiste ad una rappresentazione altamente suggestiva, ad una prolusione del Venerdì Santo in cui figurano tutti i personaggi ed i simboli della Passione del Cristo.
Nulla è tralasciato ed in particolare il convivere dell’elemento sacro con quello profano.
La vita del paese si arresta per un intero giorno.
Non si tratta di essere fedeli alla tradizione.
Si tratta soprattutto di non perdere l’appuntamento con una fede che rinnova il grande mistero.
Tutto il paese rivive la sua vicenda umana e religiosa con orgoglio e passione.
Potrebbe sembrare tutto ciò incredibile in una società che bada all’essenziale, che non ha tempo da perdere per queste cose.
Se per “essere all’antica”, come si suol dire, significa custodire gelosamente tradizioni che si tramandano di generazione in generazione, noi siamo rimasti all’antica.
Fede, tradizione e storia, in quest’angolo di Basilicata, si tengono per mano e costituiscono il tessuto connettivo di questo popolo che custodisce gelosa- mente la sua civiltà”.