Assenza di obiettivi, scarso impegno sociale e contrazione dei luoghi e dei momenti di aggregazione costruttivi.
La famiglia può involontariamente incentivare l’assunzione degli alcolici.
I dati sull’alcolismo giovanile in Italia segnano un fenomeno in crescita.
Così spiega Vincenzo Giuliano, il Garante dell’infanzia e dell’adolescenza di Basilicata:
“Il 20% di tutta la popolazione italiana sopra gli 11 anni beve ogni giorno.
Il 7% dei giovani si ubriaca tre volte a settimana, i primi alcolici vengono consumati all’età di 11/12 anni e più del 14% dei giovani italiani sotto i 24 anni consuma alcool ogni girono. Alcuni di questi hanno sviluppato problemi gravi ancora prima di raggiungere la maggiore età.
Secondo le statistiche le cause dell’abuso di alcool sono da attribuire al fatto che gli adolescenti, non hanno obiettivi a breve e lungo termine, hanno scarso impegno sociale, deboli radici familiari, difficoltà a scuola, difficoltà relazionali e comunicative.
Gli adolescenti lucani non sono diversi dai loro connazionali coetanei.
Subiscono la stessa influenza che la cultura edonistica imperante determina.
Infatti, grande peso sul ragazzo alcolista ha l’influenza del mondo esterno: pubblicità e messaggi mediatici, amici di cui si circonda, ambienti frequentati, educazione familiare e scolastica.
Avere un bicchiere in mano è oggi un simbolo di affermazione: è percepito come qualcosa di cui essere fieri.
In particolare per gli adolescenti, tendenti a condotte trasgressive, l’alcool determina un abbassamento delle inibizioni personali, con conseguenti comportamenti “sopra le righe”.
Bere diventa pertanto un modo per affermarsi socialmente ed essere maggiormente accettati nella cerchia degli amici.
Così i ragazzi si infilano in un circolo vizioso in cui più bevono e più non riescono a farne a meno, incoraggiati anche dagli stimoli sociali esterni che approvano comportamenti adultizzati ed eccessivi.
Purtroppo in questa fascia d’età si sviluppa una dipendenza che viene sottovalutata sia dal ragazzo stesso che dalla sua famiglia.
La famiglia infatti ha una grande responsabilità in tutto questo, in quanto può involontariamente incentivare il comportamento di assunzione degli alcolici (ad esempio dando modelli sbagliati, permettendo al giovane di consumare alcool in casa o minimizzando gli episodi di ubriachezza del figlio).
Di sicuro la maggior parte delle famiglie ignora i danni a lungo termine causati dall’assunzione di alcolici al di sotto dei 18 anni d’età (quando il cervello del ragazzo è ancora in fase di sviluppo e crescita, per intenderci).
La sottovalutazione della famiglia sul consumo di alcol da parte dei ragazzi è emerso in maniera preponderante anche dall’indagine che facemmo nel 2017 con il sociologo, Giulio Pica, del Ser.D. di Potenza in cui il livello di informazione sugli effetti dell’alcool si era abbassato rispetto a quello rilevato, in un’altra indagine, quella del Ser.T. di Potenza nel 2003.
Infatti, il 41,5% degli studenti intervistati nel 2017 riteneva erroneamente che l’alcool aiuti la digestione a fronte del 35% degli studenti del 2003; il 28% che l’alcool migliori le capacità sessuali a fronte del 10% e il 42,4% che le bevande alcoliche aiutino a combattere l’ansia e la malinconia a fronte del 22% .
A questo peggioramento relativo al grado di consapevolezza e d’informazione sui rischi alcol-correlati, è corrisposto un incremento delle percentuali di studenti che nel 2017 hanno ecceduto nell’uso di alcool nei sei mesi precedenti l’intervista.
Sarebbe interessante verificare se questa consapevolezza sui rischi correlati sia più acquisita oggi dalle famiglie lucane perché questo modo di pensare le condiziona fortemente nel dare ai propri figli un’educazione che possa contrastare la condotta di assunzione di alcolici.
Penso che sarebbe necessaria un’azione educativa massiva, anche a seguito degli ultimi fatti di cronaca successi a Potenza, prima sui genitori e poi anche sui giovani, attraverso percorsi di consapevolezza fatti a scuola ma anche all’esterno, da personale professionale d’equipe (psicologi, pedagogisti, assistenti sociali, sociologi) preparato appositamente per fronteggiare questa emergenza sociale.
È importante creare una rete con la famiglia, che potrebbe anche negare l’evidenza dei fatti anziché collaborare, ed agire poi sui giovani, informandoli di tutti i rischi ma anche organizzando spazi creativi nei quali possano esternare il proprio disagio attraverso forme non verbali.
Negli ultimi 15 – 20 anni, si è verificata una forte contrazione dei luoghi e dei momenti di aggregazione costruttivi, quali centri parrocchiali, oratori, associazioni culturali e sportive, gruppi scouts ed un parallelo impiego del tempo libero in forme di aggregazione prive di una valenza educativa, come la permanenza in strada fino a tarda notte anche di pre-adolescenti con l’uso eccessivo di alcolici e super-alcolici.
Il lock-down, legato alla pandemia, ha ulteriormente ridotto i momenti di sana socialità, accentuando la tendenza all’isolamento e la difficoltà a re-inserirsi nel gruppo dei pari e nel contesto-classe.
E’ inoltre evidente che l’utilizzo ormai patologico dei telefonini e di altri dispositivi elettronici da parte della totalità di adolescenti e pre-adolescenti, sottrae alla famiglia il ruolo di orientamento e di educazione a comportamenti compatibili con la tutela della salute e col rispetto dei ruoli e delle regole di una normale convivenza, affidando all’ambiente virtuale, nel quale i più giovani vivono, una funzione quasi esclusiva di socializzazione e di acculturazione.
Si dovrebbe incrementare l’intervento di prevenzione primaria e di educazione alla salute nelle scuole da parte di enti ed associazioni almeno per trasmettere informazioni corrette e contrastare visioni errate e sottovalutazioni dei rischi dell’alcool.
Quanto alla fruizione del tempo libero che si concretizza sempre più in una movida senza regole, caratterizzata quasi sempre dal consumo eccessivo di alcool, si potrebbe agire mettendo in atto tre criteri comportamentali: il primo di ordine preventivo evidenziando nelle feste di piazza, vicino ai punti di vendita degli alcolici, tabelloni di divieto degli alcol ai minori e sui danni derivanti; il secondo repressivo, vietando la vendita degli alcolici ai minorenni e sanzionando realmente gli esercenti che violano i divieti; il terzo educativo, incrementando l’offerta di momenti di aggregazione costruttiva.
Per ottenere tutto questo è necessario l’aiuto di tutti, a partire dalle istituzioni, dalle forze dell’ordine e dalla rete sociale di comunità”.