Anche Maschito si prepara a vivere il Carnevale.
Ecco i cenni storici di questa festa che appartiene alla tradizione:
“Il Carnevale di Maschito ha origini antiche e rientra nel filone degli antichi carnevali lucani.
Presenta tratti comuni alle feste carnevalesche di molti comuni della Basilicata, ad esempio:
- il tema dello sposalizio,
- del capovolgimento dei ruoli,
- del falò,
- della morte del carnevale che anticipa il mercoledì delle ceneri.
Questa usanza è caduta in disuso nel periodo della guerra.
Ci sono stati deboli tentativi di ripresa nel dopoguerra per qualche anno ma, in seguito, la festa è stata abbandonata.
Durante la Domenica del Carnevale si svolgeva la parata in maschera e il matrimonio: la particolarità di questo Carnevale è il tema della zita, che prevede un allegro corteo matrimoniale.
Gli uomini entrano nel ruolo delle donne e le donne diventano capo-famiglia per un giorno.
Tutti i figuranti seguono questa linea e il mascheramento che sfocia nella caricatura e nei tratti grotteschi.
In particolare, gli uomini ricoprivano le parti più buffe esaltando le curve della donna o accentuando i difetti maschili che contrastavano con la delicatezza femminile.
Il più delle volte gli uomini che partecipavano alla festa erano la maggioranza e quando ricoprivano indistintamente ruoli di entrambi i sessi, le poche donne vestivano tutte da uomo; bambini e ragazzini vestivano da donne anche loro ma in particolare impersonificavano la figura dell’anziana.
Per un giorno la parata avveniva per le vie del paese con i cavalli addobbati in festa e ci si fermava negli spiazzi principali (largo Garibaldi piazza ecc.) per un ballo con musicisti al seguito.
Intanto i bambini con la dacanicchia (tradizionale forcella di legno in mano) bussavano alle porte delle abitazioni per recuperare le salsicce da appendere e portare in corteo.
Nella parata c’era anche il carro che aveva la singolarità di non essere trainato ma di essere davanti a buoi o cavalli (che in realtà spingevano da dietro), anche qua a simboleggiare il capovolgimento delle fatiche.
Un piatto tradizionale che si mangiava in questo giorno di festa era lu’llacrüor, pasticcio tipico arberesh di carne ed elementi dolci, con impasto zuccherato.
L’ultima scorpacciata e falò del fantoccio di paglia o della bara (lu tavut).
Particolarità di questa giornata era il testamento del carnevale: un anziano, di solito era sempre quello.
Bravo a fare le rime in verse in arberesh, da un balcone metteva alla berlina tutti i fatti più curiosi e ridicoli accaduti durante l’anno, con tanto di nomi e cognomi delle persone implicate (es. un anziano che si sposa con una giovane ma che la notte fa cilecca, una nobildonna che con una scorreggia spegne la candela della cantina ecc).
Tant’è vero che tra maschitani si diceva: “Attento a non fare guai senò quest’anno ci portano al carnevale”.
La fine del falò segna la fine della festa e dell’abbondanza dalle ceneri del carnevale.
Partirà un periodo sacro fatto di rinunce e preghiera: il periodo della Quaresma“.
Di seguito la locandina con i dettagli.
(In copertina: immagine di repertorio)