L’allarme lanciato dal Gimbe sulla carenza dei medici di famiglia riguarda anche la Basilicata.
In Italia, secondo il rapporto, ne mancano oltre 3.100 ed entro il 2026 sono previsti oltre 11.400 pensionamenti.
Ciò significa che nelle regioni del Sud nemmeno le nuove leve basteranno a rimpiazzarli.
In Basilicata, nello specifico, nel 2026 ci saranno 35 medici di famiglia in meno.
Ciò implica che se a oggi la media di assistiti per medico di famiglia è di 1.090 – contro 1.500 della media nazionale – tra qualche anno l’accessibilità e la qualità dell’assistenza in Basilicata saranno messe fortemente in crisi, con una classe medica che per il 78,3% ha più di 27 anni di laurea.
Una vera e propria emergenza che difficilmente consentirà di rendere attuabile quanto previsto dal piano operativo dell’assistenza territoriale, con diverse comunità, specie le più piccole e confinate nelle aree interne, prive di un qualsivoglia presidio medico.
Già oggi in quasi tutti i comuni della Basilicata c’è una importante carenza di medici e in alcune aree siamo totalmente sguarniti.
In un tale contesto i medici lucani, sempre più pochi, sfiduciati e delusi da una politica indifferente, non vengono più messi in condizione di garantire una effettiva sanità di prossimità.
L’abissale distanza tra la fatica quotidiana dei medici di medicina generale e chi li rappresenta, con una visione antiquata e frammentata del sistema, favorisce solo i tagli dei servizi a vantaggio di interessi privati.
Medici di medicina generale e pediatri di libera professione sono i pilastri dell’assistenza territoriale.
Un’errata programmazione, il mancato riordino del sistema ospedaliero e dei servizi territoriali e l’assenza di un piano socio sanitario rendono di fatto monco il sistema sanitario regionale.
La stessa autonomia differenziata amplierà ulteriormente il gap, già consistente, con le regioni del Nord, rischiando di dare il colpo fatale alla già compromessa sanità lucana dove c’è il più alto tasso di migrazione sanitaria.
La crisi della sanità pubblica richiede investimenti appropriati, mentre il disagio dei professionisti non necessita di provvedimenti spot ma strutturali.
La sostenibilità di un sistema sanitario è una precisa scelta politica.
È arrivato davvero il momento di salvaguardare il nostro servizio di cure pubblico e universale in tutte le sue articolazioni”.