Oggi, 25 Giugno, la Chiesa fa memoria della morte di San Guglielmo da Vercelli, monaco benedettino vissuto tra il 1085 e il 1142.
Melfi, Venosa e altre zone del Vulture Melfese mantengono vivo il suo ricordo con grande affetto e devozione, essendo lui stato un grande maestro di ascesi.
San Guglielmo da Vercelli eresse la famosa abbazia di Montevergine in provincia di Avellino, dopo aver trascorso una vita eremitica fatta di silenzio, meditazione, contemplazione e digiuni.
Fondò l’ordine degli “Umiliati” di Montevergine e per molto tempo si stabilì nella zona del Vulture e nella valle dell’Ofanto.
La sua gloria incominciò il giorno in cui gli apparve Gesù Cristo, per ordinargli di abbandonare la vita in solitudine, ritornare in mezzo agli uomini e diffondere la regola benedettina.
Così fece il Santo, diventando presto molto caro a tutti e molto famoso tra le nostre genti.
Nelle bolle papali di Alessandro IV (1254-1261) e di Urbano IV (1261-1264) si parla di possedimenti dell’abbazia di Montevergine a Melfi e a Venosa: due monasteri dell’ordine verginiano delle monache, fondati dallo stesso santo prima a Venosa e poi a Melfi nel 1134, entrambi dedicati alla Madonna.
Successivamente il monastero di Melfi venne intitolato a San Bartolomeo: la sua struttura fortificata è situata nella parte orientale della città, mentre originariamente sorgeva fuori dalle mura.
In esso si collocarono dapprima le monache verginiane di San Guglielmo da Vercelli e poi le Clarisse di Santa Chiara d’Assisi e per molti anni ha ospitato il carcere cittadino.
Nel giardino del Museo Diocesano di Melfi vi è la statua di San Guglielmo da Vercelli ed è accompagnata da una targa che recita:
“Pellegrino mi fermai in mezzo a voi.
Respirai spiritualità benedettina e dei monaci basiliani.
Ripartii trasformato.
Mi videro i monti di Pierno e la piana dell’Incoronata, la cima di Montevergine e la piana di Goleto.
Fui onorato dal normanno Ruggero II.
All’amore della Madonna vi affido”.
Il messaggio che San Guglielmo ha tramandato al popolo di Dio, al clero e al mondo, spinge all’incontro con il Signore, volto alla guarigione e alla redenzione, attraverso la meditazione, il silenzio, il digiuno e la preghiera costante.
In tal modo si esce dalla mondanità e dalla vita frenetica, perché i rumori del mondo non curano lo spirito, ma lo feriscono.
La pratica spirituale è il solo rimedio per l’anima, il cuore, l’intelletto e la volontà umana.