La proposte della Basilicata sono state accolte e inserite nel “Piano nazionale integrazione per i titolari di protezione internazionale” redatto dal ministero dell’Interno con le Regioni e le organizzazioni di volontariato.
Lo rende noto Pietro Simonetti, responsabile per il Coordinamento regionale Politiche migranti e rifugiati.
Questo il testo del documento presentato dalla Regione Basilicata:
“Si premette che, specialmente in questa fase, è di fondamentale importanza la definizione di un piano nazionale di integrazione per i richiedenti la protezione internazionale e che pertanto il documento messo a punto rappresenta un salto di qualità nell’ambito del processo di ristrutturazione-innovazione del sistema nazionale di accoglienza e inclusione dei migranti.
Il percorso proposto per il passaggio al sistema di accoglienza diffusa, con la definizione di piani regionali fondati su intese per aggregazione di piccoli gruppi nel territorio, le attività di lavoro utile con rilascio di attestazione di volontario Civico da parte dei Comuni, di formazione e inclusione scolastica, il rafforzamento e l’estensione della assistenza socio sanitaria, la formazione degli operatori pubblici e privati occupati nel comparto, va sostenuto e praticato.
La Regione Basilicata ha inaugurato da tempo, con intese, progetti, nuove norme di legge, la pratica della accoglienza diffusa sul proprio territorio: attualmente 72 Comuni su 131 sono impegnati nel processo, difficile ma governabile, di passare dalla accoglienza alla inclusione.
Il governo di questi processi, anche inediti, è stato il primo risultato dell’ istituzione del Coordinamento Regionale per le Politiche dell’Immigrazione, operativo presso la Presidenza della Giunta Regionale, che registra la partecipazione di tutti i dipartimenti e che si apre alle parti sociali e del volontariato mediante anche una forte collaborazione con gli Enti Locali e le Prefetture.
L’esperienza sin qui maturata, segnalata con puntualità nella bozza di piano nazionale, necessita ora di ulteriori innovazioni a partire dalla velocizzazione delle istruttorie per le richieste di asilo, l’obbligo dell’insegnamento della lingua italiana, fin da subito, anche in prima accoglienza, la formazione e il lavoro utile in uno con l’accompagnamento al lavoro come nel sistema Sprar.
Il richiedente la protezione internazionale può essere reclutato per il lavoro dopo sessanta giorni di permanenza, e questo vuole significare che deve essere accompagnato per un certo periodo senza perdere il diritto all’accoglienza nei centri.
Si tratta di un passaggio importante e decisivo anche per combattere il lavoro nero e la tratta. A questo proposito si possono definire delle linee guida per definire intese a livello regionale e comunale.
Nella Bozza si ricorda che nel 2015 il sistema informativo ha registrato 1.976.642 rapporti di lavoro, di cui 1.185.985 relativi a lavoratori extracomunitari.
Si tratta di rapporti che per oltre 50% sono inferiori al mese mentre un altro 35% e concentrato in 4-30 giorni specialmente in agricoltura.
Pertanto molti migranti non possono accedere alla indennità di disoccupazione.
La stima provvisoria per il 2016 parla di oltre quattrocentomila lavoratori, in buona parte comunitari e non stretti nella morsa del caporalato in tutto il Paese e in particolare nel Mezzogiorno.
Il superamento di questa situazione si ottiene attraverso un coordinato intervento degli organi del Ministero del lavoro e delle strutture competenti per la verifica della congruità delle giornate effettivamente lavorate e non di quelle assicurate.
Per la corretta applicazione delle nuove normative di contrasto al caporalato e dei protocolli sperimentali in sei regioni, andrebbero sveltite le procedure, accordati i finanziamenti ai progetti già candidati, come quello delle Regioni Puglia e Basilicata, indispensabili per l’attuazione delle misure previste.
Si segnala, in merito al Capitolo 8, che occorre estendere il sistema informativo lavoro con le “liste di prenotazione” per i migranti, sulla base delle qualifiche possedute o in corso di ottenimento attraverso i corsi di formazione, e per i datori di lavoro attraverso un rinnovato impegno dei centri dell’impiego anche attraverso strutture mobili da dispiegare nelle aree di residenza informale ora controllate dai caporali.
Sempre facendo riferimento al capitolo 8, infine di ritiene che la tutela delle vittime della tratta, della pratica della schiavitù e delle vittime del caporalato vada rafforzata ed estesa in termini preventivi nelle aree dove agiscono i caporali, ossia nei ghetti e nei centri informali”.