MELFI: ANCHE TANTI STUDENTI HANNO RESO OMAGGIO AI CADUTI DI TUTTE LE GUERRE. LE FOTO

Una cerimonia svoltasi a Melfi questa mattina ha ricordato la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, organizzata dal Comune di Melfi e dall’Associazione Nazionale fra mutilati ed invalidi di guerra e Fondazione Sezione Circoscrizionale di Melfi.

Oltre alle istituzioni rappresentate dal sindaco Livio Valvano e dall’assessora Maria Grazia Caprarella, erano presenti le Associazioni, le Forze dell’Ordine, i volontari della Protezione Civile e i ragazzi delle scuole “Nitti-Berardi” e “Ferrara-Marottoli”.

Il ritrovo dei partecipanti è avvenuto nella piazza antistante al Palazzo di Città. Ad aprire il corteo la Banda Musicale della Città di Melfi.

Primo momento è stato l’omaggio ai caduti presso il monumento sito nella Villa Comunale con la deposizione della corona e il rito dell’alzabandiera.

In seguito ci si è spostati all’ex Municipio dove dinanzi alle targhe commemorative dei caduti di tutte le guerre il sindaco ha reso omaggio lasciando delle corone.

Appuntamento poi nella Basilica Cattedrale per la Santa Messa presieduta da don Vincenzo Vigilante, seguita da letture e riflessioni da parte delle studentesse di Paola Aida Lioy e Francesca Calabrese, dei presidenti delle Associazioni e del sindaco Livio Valvano.

In seguito la Banda Musicale di Melfi ha eseguito in Piazza Duomo alcuni brani come congedo di questa giornata significativa.

Pubblichiamo il testo integrale del sindaco Livio Valvano e, a seguire, le foto della mattinata.

“Carissimi concittadini,

Oggi ricordiamo avvenimenti che sono stati uno spartiacque per il nostro Paese. Oggi celebriamo l’unità nazionale e onoriamo le forze armate. Era l’anno 1918, finiva la prima guerra mondiale e l’Italia recuperava alcuni suoi territori dall’Impero Austro-Ungarico. Ma oggi onoriamo anche i caduti, tutti coloro che hanno dato la loro vita, che hanno compiuto il massimo sacrificio umano possibile nel perseguimento di un interesse superiore. Migliaia di vittime militari e civili che con la loro generosità ci hanno regalato una società più libera rispetto a quella da loro conosciuta. Antenati, patrioti che lontani nel tempo ci trasferiscono il senso alto dello Stato unitario, ci chiedono di aver cura della coesione della comunità nazionale per la quale hanno sacrificato finanche il bene di cui nessuno di noi potrebbe disporre: la vita.

È stato un sacrificio vano? Ne è valsa la pena? Non credo che potremo mai compensare la perdita di vite umane.
Non abbiamo il diritto di accettare quel sacrificio, ma non possiamo permetterci di rifiutarlo. Possiamo, però, raccoglierne il testimone. Possiamo farci carico della nostra quota di sacrificio, non certo disponendo delle nostre vite, ma facendo ogni sforzo possibile, oggi, per ampliare il livello di libertà e di coesione delle popolazioni. Possiamo farci carico di migliorare la nostra comunità allargandone idealmente i confini.
Possiamo contrastare ogni forma di criminalità, di prevaricazioni, di compressione della legalità che riducono libertà e coesione della comunità. Possiamo con ostinazione educare i nostri figli alla cultura dell’alterità, della diversità, facendoli uscire dalle strettoie degli egoismi che guardano agli altri come fonte di pericolo per il proprio benessere.

Non possiamo limitarci a desiderare l’ordine pubblico e la sicurezza chiedendo alle forze dell’ordine e all’esercito di sporcarsi le mani tenendo lontani dai nostri occhi la violenza e i pericoli causati dalla miseria e dalla fame di popolazioni ai margini della comunità nazionale e mondiale. Ognuno di noi non può ritenersi incondizionatamente proprietario della libertà e del benessere raggiunti; se lo facessimo, in quello stesso momento getteremmo le basi per la rapida disgregazione della comunità nazionale.

Io non sono soddisfatto, non posso ritenermi appagato del livello di coesione della nostra comunità.
Non credo che il nostro compito, la nostra quota di sacrificio sia stata sin qui sufficiente a far evolvere i livello di libertà effettiva e di coesione che consentono a tutti i cittadini di sentirsi davvero inclusi. La distanza temporale e geografica dai conflitti, peraltro ancora oggi numerosi, ci fa spesso vivere l’illusione di aver conquistato definitivamente libertà, pace e stabilità; sarebbe un errore crederlo. Per questo, nei momenti di riflessione come questo, dobbiamo richiamare la nostra attenzione per impegnarci di più con azioni concrete, nel quotidiano, per far crescere il sentimento di comunità e per far elevare il senso dello Stato. Sarebbe un grave errore cadere nella trappola predisposta da chi, in nome del concetto di Patria, promuove la riesumazione dei germi della divisione, del razzismo, dell’egoismo ideologizzato elevato a valore guida per la società.

Fa rabbrividire sapere che, ancora oggi, si giustificano conflitti per ragioni etniche, religiose, identitarie, quasi a voler ricordare la capacità, sempre attiva degli esseri umani, di trasformare in male ciò che per sua natura è bene. Per questo non possiamo accettare l’idea di celebrare oggi la vittoria dell’Italia nella prima guerra mondiale; il contrario sarebbe disumano. Non posso sentirmi vicino a coloro che pensano che sia possibile gonfiarsi il petto di orgoglio per l’esito che si descrive come vittorioso di un conflitto che ha portato morte e distruzione in Europa. Non posso pensare che gli italiani oggi sfilano in corteo perché un secolo fa l’Italia ha vinto una guerra, come se si fosse trattato di un campionato europeo di calcio. Non è la vittoria di una guerra che può edificare una società civile. È la fine del conflitto che deve essere al centro delle nostre riflessioni odierne; la cessazione delle ostilità, la fine delle sofferenze e dei sacrifici umani, il sopravvento del buonsenso e la soccombenza della stupidità.

L’uso delle armi è sempre e solo la conseguenza di un fallimento, del prevalere degli egoismi sui valori basilari su cui si fonda una comunità. Eppure in queste settimane, nel nostro Paese, c’è ancora chi sollecita sentimenti nazionalisti e rivendica la grandezza di una nazione perché vincitrice di un conflitto. È una trappola. È il tentativo strumentale e pericoloso di utilizzare il disagio, la sofferenza di tanti italiani che faticano a trovare spazio nella società e che si sentono minacciati dai nostri stessi valori di difesa dei diritti umani.

Per questo oggi dedichiamo anche un particolare pensiero a chi combatte in luoghi di guerra, pur non volendo,
ai civili che scappano dalla distruzione. A lodo auguriamo di poter presto celebrare, in una giornata come questa, la fine delle bestialità. È questa l’essenza del messaggio che oggi dobbiamo esaltare e trasferire alle nuove generazioni, cui dobbiamo sottoporre esempi positivi di persone che si battono per i diritti umani.

Alla loro attenzione voglio portare l’esempio di una giovane vita spezzata nell’era contemporanea. Una donna impegnata in politica, appassionata di battaglie civili, cui voglio dedicare questa giornata. Si tratta di Helen Joanne Cox, giovane deputata laburista inglese, assassinata nel giugno del 2016. Jo era madre di due figlie.
È rimasta vittima di una vera e propria guerra che si combatte nell’era contemporanea. Martire civile, si è battuta per i diritti umani, sempre alla ricerca di concrete soluzioni pacifiche per dirimere i conflitti che affliggono il mondo. Dobbiamo seguire l’esempio, per onorare almeno in parte il sacrificio di tutti coloro che oggi onoriamo dobbiamo intraprendere una quotidiana battaglia civile.

È una battaglia che non possiamo semplicemente delegare alle forze armate e alle forze dell’ordine. Non possiamo acquietare la nostra coscienza pensando che loro sono obbligati a garantire pace, sicurezza e ordine pubblico. L’uso della forza discendente dalle istituzioni democratiche è sempre l’estrema ratio e ha in se una dose di violenza che noi, con il nostro agire quotidiano, possiamo evitare.

Ognuno di noi ha una influenza più grande di ciò che immaginiamo. Se nel quotidiano utilizzeremo quell’influenza allora riusciremo a preservare e tramandare quei valori fondamentali per lo sviluppo della nostra comunità; solo sulla base di questo impegno oggi ha un senso celebrare l’unità nazionale, le forze armate e tutti i corpi dello Stato dove uomini e donne ancora oggi rischiano la loro vita in missioni di pace. Solo in questo modo potremo onorare le vittime di tutte le guerre, della criminalità e del terrorismo che assediano la nostra società.

A loro va il nostro ringraziamento per ciò che è stato fatto e per ciò che fanno, a loro consegniamo il nostro impegno a lavorare insieme, quotidianamente, per fare più grande e libero il nostro Paese”.

Di seguito le foto.