Tutelare i dialetti perché trasmettono la storia di un popolo, addirittura potrebbero scrivere una storia laddove presenta lacune informative.
La forza di una parola è dunque sorprendente.
Lo ha dichiarato la professoressa dell’Università di Basilicata, Patrizia Del Puente, docente di glottologia e linguistica, che è intervenuta ieri sera all’incontro promosso dalla Fidapa BPW di Melfi “Il dialetto, la nostra lingua, la nostra storia“, che si è tenuto presso la Sala Consiliare.
Citando Andrea Camilleri, la presidente della Fidapa Lucia Moccia ha ricordato che:
“Il dialetto è la lingua degli affetti. È la lingua del cuore, capace di farci sognare ed emozionare, un valore positivo che ci permette di percorrere i sentieri della memoria, un bene immateriale unico e non duplicabile che grazie al suo fascino evocativo, alla sua immediatezza, alla suggestività delle espressioni legate ad un modello di vita ormai lontano, impedisce che questo patrimonio vada perduto”.
Una lingua tutt’altro che povera, cioè relegata alle persone non istruite, al volgo. L’italiano stesso è una derivazione dialettale. Come ha spiegato la professoressa Del Puente:
“L’italiano deriva dal dialetto fiorentino del ‘300. È ingiusto parlare dunque di differenza di dignità tra la lingua italiana e i dialetti, decretando quest’ultima come usata dagli ignoranti”.
La Del Puente ha quindi tracciato una panoramica dei dialetti lucani:
“In Basilicata ci sono diversi sistemi vocalici romanzi. Alcuni di essi derivano addirittura dal settentrione, questo per la presenza di comunità che si sono insediate da noi diversi secoli fa. La parlata liguro-piemontese presente nell’area potentina deve la sua esistenza ai catari del Medioevo che fuggirono dalle persecuzioni. L’area del Vulture-Melfese è invece interessata dalla lingua arbereshe, diffusasi nel ‘500 grazie alla presenza di numerose colonie albanesi”.
Si delinea così un quadro complesso della geografia dialettale lucana, con profonde commistioni, sfumature e trasformazioni che effettivamente parlano il linguaggio della storia. La brocca dell’acqua diventa così una foriera di termini declinati in base alla destinazione d’uso, mentre i mesi dell’anno sono i mesi dell’agricoltura e della fede con Novembre che è ‘San Martino’ e Luglio il mese della ‘mietitura’.
Spesso i lucani si sentono in una sorta di ‘terra di mezzo’, hanno cioè la tendenza a collegare il proprio dialetto alle regioni limitrofe. In realtà, come ha ribadito la Del Puente, i lucani hanno sì ricevuto ma anche dato e questo fa della regione un importante presidio dialettale.
C’è però un dato preoccupante che emerge e che riguarda soprattutto il Vulture-Melfese:
“Questa è l’area in cui insiste maggiormente un sistema di transizione, cioè di evoluzione verso l’italiano. In pratica si traduce nella scomparsa del dialetto”.
Pionieristico è allora il lavoro svolto dal progetto Alba: si tratta di un Atlante Linguistico della Basilicata, unico al mondo che raccoglie le informazioni in tutti i Comuni della regione. Questo ha consentito anche di diventare Centro Internazionale di Dialettologia e molte Università prestigiose come quelle di Firenze, Oxford e Cambridge collaborano con l’Università lucana nel tentativo, davvero complesso ma allo stesso tempo prezioso e affascinante, di raccogliere e preservare i termini dialettali.
Per questo il progetto intende avviare un processo di alfabetizzazione dialettale anche nelle scuole, perché esso non solo consente di far comprendere il vero valore di un dialetto ma anche di imparare a parlare correttamente l’italiano.
Il sindaco di Melfi Livio Valvano ha donato alla professoressa un classico della letteratura locale e dialettale: “La nonna Sabella” del concittadino Pasquale Festa Campanile. Un modo questo per riallacciarsi al discorso della ricchezza della lingua dialettale, celebrata anche dalla letteratura.
All’incontro è intervenuta anche la past presidente della Fidapa nazionale, Giulia Colucci, che ha sottolineato l’impegno dell’associazione nel promuovere la cultura soprattutto quando è calata nel proprio territorio, mentre Umberto Ferrieri e Sergio Cappiello hanno deliziato il pubblico in sala con letture e canti della tradizione dialettale melfitana.