Cresce il numero di anziani bisognosi di cure, ma diminuisce il numero dei caregiver (assistenti) familiari, soprattutto le donne.
Gli anziani del futuro avranno pensioni più basse e questo inciderà sul mercato privato di cura: una situazione che potrà compromettere seriamente il futuro dell’assistenza domiciliare degli anziani non autosufficienti nel nostro Paese, con conseguenze gravissime per milioni di famiglie.
Questo è il cuore della nuova ricerca Spi Cgil e Auser “Problemi e prospettiva della domiciliarità. Il diritto di invecchiare a casa propria” realizzata da Claudio Falasca e pubblicata da Liberetà.
Un mix di analisi e proposte con al centro la persona anziana, il suo ambiente di vita e i suoi bisogni.
Nel 2045 si prevede che in Italia le persone con più di 65 anni saranno un terzo della popolazione, il 33,7%.
La popolazione totale diminuirà del 3,5%, arrivando a 58milioni e 600mila e per il 78% sarà concentrata nelle città.
Di conseguenza aumentano le persone non autosufficienti che nel 2025 saranno pari a 300mila, 1.250.000 nel 2045 e 850.000 nel 2065.
Aumentano gli anziani, ma pochi di loro riescono ad accedere ai servizi per la domiciliarità.
Nel quinquennio 2009-2013 in Italia gli anziani sono aumentati dell’8,6%, passando da 11.974.530 a oltre 13 milioni.
Nello stesso arco di tempo sono diminuiti del 21,4% gli anziani che hanno beneficiato del Servizio di assistenza domiciliare (SAD), passando da 190.908 (1,6% della popolazione anziana) del 2009 al 149.995 (1,2%) del 2013.
A differenza della SAD, nel quinquennio 2009-2013 l’ADI (Assistenza domiciliare integrata), registra un incremento passando dal 3,7% al 4,8% della popolazione anziana.
Nel 2013 riuscivano ad accedere al servizio ADI solo il 23,7% del totale degli anziani con limitazioni funzionali.
In Basilicata, nel 2013, le persone over 65 anni con limitazioni funzionali sono il 19,7% della popolazione.
Dal 2009 al 2013 il servizio Adi (Assistenza domiciliare integrata) in Basilicata registra un aumento delle ore di cura, ma una riduzione della percentuale di Comuni che offrono il servizio, che passa dal 6,9% al 3,8%, seguendo l’andamento generale delle regioni del sud.
La ricerca fa, inoltre, emergere come in Basilicata, nel periodo 2009 – 2013, la spesa per il servizio di assistenza domiciliare per utente abbia subito un incremento superiore al 100%.
Nel 2012 offrono servizio di assistenza domiciliare socioassistenziale (Sad) il 79,4 % dei Comuni, mentre l’indice di presa in carico è molto basso, pari a 1,3 anziani, a dimostrare la difficoltà delle istituzioni nella presa in carico reale dell’anziano non autosufficiente.
Una ricerca del Censis del 2015 sottolinea come oltre 561mila famiglie in Italia abbiano dovuto indebitarsi per far fronte ai costi dell’assistenza a un familiare non autosufficiente.
Nell’ultimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese il Censis stima in 9 miliardi l’anno la retribuzione per le badanti (che in Basilicata risultano essere 1748, +40% del 2009) e in 4,6 miliardi le spese medico sanitarie come farmaci, analisi, visite, trattamenti riabilitativi ecc.
Una famiglia con una persona non autosufficiente deve affrontare una spesa sanitaria privata pari a più del doppio rispetto alle altre famiglie italiane.
Per l’assistenza (che per la parte pubblica comprende l’assistenza sociale, mentre quella sociosanitaria è inglobata nelle sanità) la spesa pubblica contribuisce per il 52,4%, molto meno che per altri settori.
Come è noto, le prestazioni di assistenza sociale sono affidate principalmente alle amministrazioni locali, sempre più in difficoltà a causa della riduzione delle risorse disponibili.
In questo quadro, le famiglie si trovano ad affrontare le spese in gran parte da sole e facendo ricorso all’impegno personale dei familiari.
Ma i problemi non sono solo i costi: mancano supporti per i cittadini che garantiscano la qualità dei servizi e ne facilitino la reperibilità.
Solamente il 23,8% di coloro che lo hanno affrontato, dichiarano di essere stati in grado di coprirne le spese.
Ma per pochi di questi (14,3%) il reddito è stato sufficiente. La maggior parte ha dovuto intaccare i risparmi o ricorrere all’aiuto di amici e parenti.
Gli anziani, inoltre, sono prigionieri in casa propria.
Le case dove vivono gli anziani non sempre sono garanzia di qualità e sicurezza.
Il 56% delle case di proprietà degli anziani sono prive di ascensore. La casa può diventare una prigione.
Afferma il segretario generale Spi Cgil Basilicata, Nicola Allegretti:
“La domiciliarità dovrebbe essere considerata un diritto della persona e intesa come quell’insieme di misure, azioni, condizioni che consentono all’anziano di vivere pienamente il proprio ambiente di vita fatto della propria abitazione, ma anche dell’ambiente che lo circonda.
La persona anziana deve essere messa in condizioni di poter rivendicare una sorta di ‘diritto alla domiciliarità’, attivando una rete di risorse e servizi come supporto alla garanzia di domiciliarità nei confronti della persona e della famiglia.
È questo lo spirito che deve animare una domiciliarità, coerente con una politica a favore dell’invecchiamento attivo incardinata nella ‘Carta europea dei diritti e delle responsabilità degli anziani bisognosi di assistenza e di cure a lungo termine’.
Questo rende essenziale il Piano nazionale per la domiciliarità rivendicato unitariamente dai sindacati con una proposta di legge d’iniziativa popolare che risale al 2005, il riconoscimento del lavoro di cura familiare, di cui un primo passo è il Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare presente nell’articolo della Legge di stabilità 2018, la costruzione di una rete di servizi di prossimità a livello di territorio/quartiere in grado di garantire all’anziano una continuità di cura adeguata alle sue condizioni, evitando che venga sottoposto a costrizioni o discontinuità traumatiche per il suo equilibrio psico-fisico.
In questa direzione come Spi Cgil in ogni occasione abbiamo sempre chiesto alla Regione Basilicata di programmare interventi e misure a livello territoriale.
La programmazione degli interventi dovrebbe guardare anche alla condizione abitativa in cui vivono gli anziani.
Diversi gli ambiti su cui intervenire: stabilizzare le misure di sostegno alle ristrutturazioni del patrimonio immobiliare privato, condizionandolo al rispetto di standard di qualità commisurati ai problemi di una crescente popolazione anziana; aggiornare la normativa su standard e barriere adeguandoli alla nuova domanda sociale; aggiornare il quadro tecnico normativo (edilizio: agibilità e sicurezza; tecnologico: ascensori, domotica); sostenere le esperienze innovative e le buone pratiche come la badante di condominio, la coabitazione solidale; impegnare i detentori di quote di patrimonio ‘pubblico’ in programmi di riqualificazione.
Ancora, guardare all’invecchiamento attivo come valore urbano generale e a una combinazione di risorse per garantire chi ha bisogno di cure a lungo termine tra Fondo per la non autosufficienza, indennità di accompagnamento, spese di cura, fondi assicurativi, impegnando risorse delle amministrazioni territoriali per attrezzare il territorio con servizi di prossimità per la domiciliarità”.