Inizia da oggi, Sabato 2 Marzo, nell’aula didattica del Museo di Storia Naturale del Vulture (Monticchio Laghi), una serie di “Incontri”, gestiti dall’Associazione Studi Naturalistici del Vulture insieme al Museo di Storia Naturale del Vulture della Provincia di Potenza e organizzati:
- dal Centro di Educazione Ambientale e la Sostenibilità “Vulture” di Rionero;
- della Rete INFEA della Regione Basilicata.
Le attività che il CEAS Vulture affronta riguardano:
- l’Educazione Ambientale (sviluppata in collaborazione con gli Istituti Scolastici della Basilicata);
- l’Organizzazione di escursioni naturalistiche in aree di alto valore conservazionistico;
- Ricerca, Monitoraggio e Tutela di specie in pericolo e in via di estinzione.
Con l’organizzazione degli “Incontri”, il CEAS Vulture intende presentare alla cittadinanza tematiche affidate a noti esperti di livello nazionale e europeo.
Tra queste:
- la conoscenza e descrizione di specie endemiche (quindi specie che vivono esclusivamente sul territorio del Vulture) quali l’Alborella vulturina o l’Alborella meridionale al Garofano del Vulture, specie scoperte e descritte da Michele Tenore, Giovanni Gussone e Oronzo Gabriele Costa, importanti naturalisti del XIX secolo del Regno delle Due Sicilie; la Bramea, un fossile vivente di tempi lontanissimi (ci giunge dal Miocene), una farfalla scoperta la sera del 18 Aprile 1963 dall’entomologo Federico Hartig;
- la storia geologica del vulcano;
- la presenza di eccezionali Beni Culturali, dal sito preistorico di Atella, alle pitture rupestri di Filiano, alle importanti ricerche archeologiche dell’Università della Basilicata che riguardano in particolare l’area dell’Abbazia di San Pietro (nota come Sant’Ippolito) insieme alla Grotta dedicata al culto dell’Arcangelo Michele, culto introdotto nel vicino Gargano con la costruzione del Santuario dedicato a San Michele e l’espansione in tutto il Mezzogiorno (ricordiamo la Grotta di San Michele Arcangelo a Olevano sul Tusciano) e in tutta Europa, insieme alla attuale Abbazia di San Michele che ospita anche il Museo di Storia Naturale del Vulture.
Il primo incontro (oggi 2 Marzo, dalle 10:00 alle 13:00) “Il Lupo e il suo ecosistema nel Mezzogiorno e in Basilicata: dalla persecuzione alla tutela e gestione” affronta un tema sempre più discusso sui media e che provoca anche forti disagi e proteste nel settore zootecnico per l’indubbio impatto, anche sugli animali domestici allevati, che ha un predatore abile e presente da sempre nelle foreste e nei pascoli della Lucania e del Mezzogiorno: il Lupo.
Dopo i saluti del direttore del Museo, Enrico Spera, e della responsabile del CEAS Vulture, Antonella Vorrasi, segue il primo intervento, curato da Mario Kalby (educatore ambientale del CEAS Vulture e studioso della fauna del Meridione) che affronta:
“l’evoluzione della presenza storica del Lupo nel Mezzogiorno connessa ai cambiamenti dell’ambiente naturale con una copertura dei boschi da molto ampia a scarsa e poi di nuovo ampia nel corso dei secoli e con una persecuzione nei confronti della specie Lupo sempre più raffinata e capillare, fin quasi a decretarne la possibile estinzione negli anni ’70 del XX secolo.
È con l’Operazione San Francesco, ideata e promossa da Franco Tassi dal 1970, all’epoca Direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo, insieme al WWF Italia, che si avviò una campagna per la “riabilitazione” del Lupo (appelli, conferenze, monitoraggi, prime catture e avvio delle indagini radiotelemetriche ad opera di David Mech, Erik Zimen e Luigi Boitani), con la contemporanea emanazione di Decreti (ministro Natali e ministro Marcora) per modificare la percezione del Lupo da specie pericolosa e famelica ad affascinante, gestibile e importante presenza nelle foreste dell’Appennino, mutandone lo status legislativo da nociva a particolarmente protetta.
Da allora una lenta ma sicura ripresa demografica ha consentito al Lupo di rioccupare territori dove era scomparso da diversi decenni, fino al ritorno sulle Alpi dopo poco più di un secolo dal suo completo sterminio.
Intorno al Lupo esiste nel Mezzogiorno, da almeno 2000 anni, un intero ecosistema che va difeso e tutelato, studiandolo, conoscendolo e gestendolo nel migliore dei modi, non con demagogia, alimentando paure assurde e infondate e persecuzioni con abbattimenti legali (ancora non consentiti dalla Legge) e illegali, sempre troppi e quasi sempre, purtroppo, impuniti”.
Il secondo intervento, di Sabatino Troisi (medico veterinario dell’Istituto di Gestione della Fauna, esperto di fauna selvatica che da numerosi anni segue l’evoluzione delle presenze del Lupo in Cilento, Irpinia e Sannio, con video trappole poste in punti che consentono di scoprire aspetti biologici e comportamentali del Lupo altrimenti sconosciuti) affronta:
“i cambiamenti sociali ed economici sull’Appennino, verificatisi nel ‘900: l’abbandono della montagna, l’aumento e la diffusione degli ungulati selvatici, le leggi sulla protezione, elementi fondamentali che hanno portato alla diffusione della specie nei vecchi areali di appartenenza e il ritorno sulle Alpi.
La gestione della predazione sul domestico oltre alle misure di protezione, anche in base a quanto indicato dall’Unione Europea, deve essere intesa come una condizione necessaria a definire il giusto equilibrio tra predazione e relativo indennizzo.
Gli strumenti, le tecniche e le strategie da mettere in campo per un efficiente sistema di prevenzione non possono prescindere dalla presenza dell’uomo, mandriano o pastore, che resta la figura indispensabile perché le azioni messe in campo siano di successo”.
Conclude i lavori Remo Bartolomei (dello Studio Naturalistico Wildlife Research) con la descrizione della specie Lupo, sottolineando le recenti scoperte genetiche che hanno elevato l’importanza naturalistica della popolazione meridionale del Lupo appenninico, riconoscendola quale sottospecie del Lupo europeo ed endemica della nostra penisola; illustrandone la biologia e l’ecologia; descrivendo le tecniche di censimento e monitoraggio più utilizzate per studiarne la presenza e la distribuzione sul territorio con cenni sui progetti in corso nei parchi nazionali lucani.
Di seguito la locandina dell’evento.