Il 18 Giugno del 1905, alle ore 8:20 del mattino, nell’insalubre carcere di Portoferraio sull’isola d’Elba, il direttore comunicò che:
“Crocco Carmine, pastore, celibe, possidente di qualche cosa, cattolico e residente a Rionero in Basilicata, era morto di astenia senile”.
114 anni fa moriva uno dei più famosi Briganti che l’Italia Meridionale abbia mai conosciuto.
Stiamo parlando di Carmine Crocco detto Donatelli (nome che risaliva a suo nonno Donato).
Nato a Rionero, il 5 Giugno del 1830, era il capo indiscusso delle bande brigantesche del Vulture, sebbene agissero sotto il suo controllo anche alcune dell’Irpinia e della Capitanata.
Un ribelle di umili origini, che da bracciante divenne comandante di un esercito di oltre duemila uomini.
La consistenza della sua armata fece della Basilicata uno dei principali epicentri del brigantaggio post-unitario nel Mezzogiorno continentale.
Il suo ricordo racchiude la memoria di una ribellione vittoriosa, di una guerra contadina che insanguinò il Meridione.
Non si può conoscere la storia completa dell’Italia senza conoscere anche le gesta del Brigante per eccellenza.
A Carmine Crocco sono dedicati decine di libri, una targa sulla sua casa a Rionero ed un intero museo.
La sua vita è stata, inoltre, oggetto di una fiction Rai del 2012: “Il Generale dei Briganti”.
A oltre un secolo dalle sue gesta, incentrate tra il 1861 e il 1864, viene da molti ricordato come l’eroe popolare, giunto in soccorso dei più deboli, perché potessero liberarsi dai soprusi.
All’epoca della sua morte (avvenuta per cause naturali dovute all’età avanzata e agli acciacchi della salute), non possedeva denaro o ricchezze materiali, solo sei paia di calze di cotone, una maglia di cotone e una di lana e due berretti da notte.
Povero era nato e povero morì, nonostante fosse stato il “Generale dei Briganti” e avesse avuto l’opportunità di sedere a tavola con notabili e potenti, gli stessi che, mentre lui moriva, erano diventati la classe dirigente del Sud italiano.