Anche quest’anno la Parrocchia di San Mauro Martire organizza il 23 Dicembre dalle ore 20:00, il Presepe Vivente nel centro storico cittadino a Lavello, un itinerario religioso e culturale nella tradizione della fede.
Quest’anno in modo particolare ricordiamo gli 800 anni da quando San Francesco per ispirazione divina volle realizzare il primo presepe vivente trasformando la città di Greccio con i suoi abitanti nella piccola Betlemme
. Oggi come 800 anni fa, con san Francesco a Greccio, il senso vero e profondo del “fare memoria” della natività di Gesù – e di ogni nostro “fare il presepe” e di ogni celebrazione natalizia – è l’incontro con il mistero dell’incarnazione.
È l’incontro con l’umiltà di Dio, che si manifesta nel suo farsi uomo e nel venire al mondo in condizioni di povertà e disagio, come nel suo farsi presente nel pane e nel vino consacrati nella Messa.
Perciò al centro della veglia della notte di Natale, per noi oggi come 800 anni fa con Francesco a Greccio a Lavello, c’è la celebrazione dell’Eucaristia.
In tante famiglie, seguendo una bella e consolidata tradizione, subito dopo la festa dell’Immacolata si inizia ad allestire il Presepe, quasi per rivivere insieme a Maria quei giorni pieni di trepidazione che precedettero la nascita di Gesù. Costruire il Presepe in casa può rivelarsi un modo semplice, ma efficace di presentare la fede per trasmetterla ai propri figli.
Il Presepe ci aiuta a contemplare il mistero dell’amore di Dio che si è rivelato nella povertà e nella semplicità della grotta di Betlemme.
San Francesco d’Assisi fu così preso dal mistero dell’Incarnazione che volle riproporlo a Greccio nel Presepe vivente, divenendo il tal modo iniziatore di una lunga tradizione popolare che ancor oggi conserva il suo valore per l’evangelizzazione.
Il Presepe può infatti aiutarci a capire il segreto del vero Natale, perché parla dell’umiltà e della bontà misericordiosa di Cristo, il quale «da ricco che era, si è fatto povero» (2 Cor 8,9) per noi.
La sua povertà arricchisce chi l’abbraccia e il Natale reca gioia e pace a coloro che, come i pastori a Betlemme, accolgono le parole dell’angelo: «Questo per voi il segno: un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc 2,12). Questo rimane il segno, anche per noi, uomini e donne del Duemila .
La natività avviene in piena notte, ed anche questo buio è attore della sacra rappresentazione.
La notte di Betlemme raffigura le tenebre dell’idolatria e del peccato che avvolgono il mondo al momento della nascita del Redentore: «spunta la gloria del Signore, mentre le tenebre avvolgono la terra e l’oscurità si stende sui popoli», aveva profetizzato Isaia (Is 60,1).
Infatti, è proprio al momento più culminante della notte, nell’ora più tenebrosa della storia che nasce quel sole di giustizia destinato ad annientare il peccato.
Inoltre, la notte rappresenta l’origine primordiale e misteriosa del creato, il “vuoto” che viene riempito dalla potenza di Dio all’atto della creazione.
Un altro elemento inanimato del presepio è la grotta.
Già da secoli la grotta era il luogo purificatore in cui si ritiravano i profeti per prepararsi alla loro missione; era il centro da cui partivano le grandi opere di riforma del popolo ebraico.
Ma questa grotta di Betlemme appare vasta come il mondo, perché ospita i rappresentanti di ogni natura creata da quella inanimata fino all’uomo e agli angeli che rendono omaggio al loro Creatore fattosi visibile.
Immagine dell’austerità e della povertà, essa accoglie umilmente colui che è stato già rifiutato, prima ancora di nascere, dai suoi stessi sudditi.
Se in ebraico Betlemme significa “casa del pane”, è perché proprio questo luogo era predestinato a donare agli uomini il Pane vivo disceso dal cielo; la grotta del presepio è, per così dire, il forno in cui è stato preparato questo divino Pane di salvezza che oggi riceviamo nella Santa Eucarestia; gli stessi Padri della Chiesa ci descrivono la grotta come immagine del sacro grembo di Maria che ha generato questo Pane.
Entriamo ora nella grotta ed osserviamo i personaggi del mondo animale che sono presenti.
Accanto al Bambino Gesù, in atteggiamento riverente, vediamo due bestie: un bue ed un asino.
Il bue, immagine di forza, calma e bontà, raffigura la potenza dell’obbedienza che si realizza nel lavoro e nel sacrificio; raffigura quegli apostoli che preparano la strada ai trionfi futuri della Fede. Simbolo del popolo eletto, docilmente sottomesso al giogo dell’antica Legge, è immagine della potestà sacerdotale del Messia.
L‘asino, invece, simbolo di sapienza, è l’animale che servirà da cavalcatura regale e pacifica a Gesù nel momento del suo ingresso trionfale in Gerusalemme, come aveva profetizzato Zaccaria (Zc 9,9). Esso rappresenta il popolo cristiano che si converte alla vera Sapienza e si sottomette alla nuova Legge.
Se il bue rappresenta la potestà sacerdotale, allora l’asino rappresenta quella regale di Cristo.
Davanti alla grotta vediamo sostare con devozione e rispetto i pastori chiamati dall’Angelo.
Personaggio nomade per eccellenza che vive in continuo pellegrinaggio ed esilio, senza mettere radici nei luoghi per cui passa, il pastore ci appare quindi staccato dalle cose terrene e ne usa solo per vivere austeramente.
Per questo i pastori di Betlemme sono immagine della Chiesa pellegrina che, guidata dalla stella della Redenzione, si dirige verso il suo Salvatore.
Ma ecco che la piccola folla dei pastori si fa rispettosamente da parte per lasciare passare degli illustri pellegrini che entrano nella grotta: sono i tre Re magi venuti dal lontano Oriente.
Sono i patriarchi dell’umanità convertita.
Nelle loro auguste persone l’antica scienza ed il potere politico rendono omaggio all’Atteso dalle genti, si inchinano al Re dei Re e Signore dei dominatori (Ap. 19,16).
Essi sono quindi i precursori dei numerosi e santi Re cattolici che convertiranno i loro popoli alla sola vera Fede ed estenderanno il dominio regale di Cristo su tutta la terra.
Questi Re magi sono però anche immagine della ragione che si prostra dinnanzi alla Fede offrendole il suo sacrificio e tributo.
Che spirito di pronta obbedienza e di cieca fiducia dimostra il loro gesto di abbandonare senza rimpianti la loro terra per seguire la stella e cercare il Redentore!
Essi hanno dato prova di essere insieme grandi e semplici, potenti ed umili, di saper comandare ed obbedire.
La loro generosità si manifesta nei ricchi doni che recano al Divino Infante oro, incenso e mirra, e ciascuna di queste offerte ha un preciso significato simbolico.
L’oro, col suo splendore e la sua incorruttibilità e duttilità, rappresenta la Carità, lo splendore della giustizia e quindi il sacro potere dei Re: esso infatti rende omaggio alla regalità di Cristo e riconosce il suo potere sui popoli e sulle nazioni.
L’incenso, aroma offerto alle divinità, simboleggia ovviamente la virtù della Fede e lo spirito di adorazione tributati al Divino Infante. Esso quindi rende omaggio alla nascosta divinità di Gesù.
La mirra, infine, erba amara che veniva usata per seppellire i morti, rende omaggio all’umanità di Gesù, destinata ad essere consumata senza risparmio sulla Croce. Essa simboleggia il sacrificio penitenziale dovuto a Dio in espiazione delle colpe e l’obbedienza senza riserve ai decreti della Provvidenza.
I prodigi della natività di Betlemme, tuttavia, non sembra abbiano provocato intorno alla figura di Gesù un movimento generale di attenzione e conversione.
Il loro ricordo sembra essersi ben presto perduto, perfino in quella città così privilegiata dalla Provvidenza.
Ma in quel tempo almeno un’anima, quella immacolata e sapienziale di Maria, «meditava nel suo cuore» questi augusti misteri forieri di così enormi conseguenze (Lc 2,19).
Intanto i pastori della sacra grotta andavano diffondendo la buona novella fra gli Ebrei, e i Re magi fra i pagani, in attesa che il Redentore sorgesse come «luce per illuminare le nazioni» (Lc 21,32).
Di seguito la locandina con i dettagli.