La Cia, denunciando la grave situazione di crisi nel settore cunicolo, chiede di inserire nella normativa europea, l’obbligo di etichettatura di origine per la carne di coniglio, oltre a quello di allevamento e macellazione.
Questo settore in Basilicata coinvolge 145 aziende con “consistenti” allevamenti di coniglio mentre ammontano a circa 126mila i capi cunicoli complessivi.
Si tratta di un comparto zootecnico di nicchia perché ci sono aziende agricole che utilizzano l’allevamento di pochi capi ad uso familiare, mentre la media di capi/azienda per le strutture che se ne occupano come attività principiale è di 860 capi/azienda.
Stando all’indagine della CIA, nella nostra regione, il comparto cunicolo ha subito un autentico tracollo: in dieci anni si è passati da oltre 5mila aziende a solo 145, ma a testimonianza del crescente impegno degli allevatori lucani i capi dei conigli nel giro di dieci anni è passato da 23 a 867 capi ad azienda.
Per la Confederazione Italiana Agricoltori:
“L’allevamento di conigli può rappresentare anche nella nostra regione una valida opportunità per sviluppare la multifunzionalità aziendale e per accrescere il reddito degli agricoltori, specie se titolari di piccole aziende familiari.
Come sanno i consumatori trovare in macelleria il “coniglio paesano” è sempre più raro e sulla provenienza non si ha, salvo eccezioni, certezza a causa della forte crescita di importazione da altri Paesi Europei ed extra UE con prezzi bassi nei supermercati e in macelleria.
L’obbligatorietà nell’etichettatura, peraltro già prevista per le altre carni fresche (suine, bovine, ovine, caprine, pollame) dall’Ue è necessaria per valorizzare le carni della nostra regione e italiane.
Serve un marchio del Dicastero agricolo per valorizzare questo comparto che genera una qualità superiore rispetto ad altre nazioni produttrici, oltre a sostenere la filiera con campagne promozionali alla stregua di altri prodotti Made in Italy.
Oggi la carne di coniglio resta ancora esclusa da un sistema di etichettatura trasparente consentendo così a referenze estere di entrare in modo anonimo nei circuiti distributivi italiani”.