Anche quest’anno Lavello è pronta ad accogliere numerosi visitatori in occasione dei suoi famosi falò che, intorno alle ore 20:00, si accenderanno in vari quartieri del comune, nel corso della serata di domani, 19 Marzo.
Ma qual è il significato di questa particolare festa?
La sacralità della superstizione rappresenta, da sempre, uno degli elementi fondanti di molte tradizioni lucane.
Prendiamo, ad esempio, i falò di S. Giuseppe e contestualizziamoli all’interno del folclore lavellese.
Già in tempi antichissimi questa pratica era molto in voga, non tanto per l’elemento di festa che, ancora oggi, la contraddistingue, ma essenzialmente per la sua presunta funzione scaramantica.
Il rito propiziatorio presupponeva una preparazione razionale già a partire da diversi giorni prima, quando i giovani fanciulli si recavano porta a porta a chiedere legna per gli imminenti falò rappresentativi dei vari rioni.
Quasi a mo’ di competizione, la fase della raccolta veniva presa molto seriamente da ogni quartiere, in modo da potersi aggiudicare il primato del più bel mucchio di materiale da ardere in quanto a grandezza e maestosità.
Una volta ben disposta al centro della rispettiva contrada o piazza, in modo che il fuoco non lambisse le abitazioni circostanti, la legna veniva appiccata la sera del 19 Marzo da un addetto a tale mansione soprannominato “u cape fuche”.
Una volta dato inizio alla serata incandescente, tutti i presenti non si limitavano ad assistere, ma partecipavano attivamente al grande evento attraverso canti sacri e l’enunciazione del rosario, mentre un’anziana signora, recitando qualcosa sottovoce, provocava botti e scoppiettii attraverso il lancio di svariate manciate salate all’interno della pira fumante: così si credeva avvenisse l’allontanamento degli spiriti maligni.
Al degradarsi della fiamma, rimanevano carboni ardenti per cucinare qualcosa tutti insieme e creare un momento di intimità e condivisione fra tutti i presenti.
I tizzoni superstiti venivano raccolti dai contadini del posto e portati l’indomani in campagna, come fossero amuleti di buon auspicio per un raccolto prospero e soddisfacente.
L’aspetto magico di questa tradizione permeava il rito fino alla fine, anche nei gesti che sembrerebbero avere un aspetto puramente pratico, come quello di ripulire dalla cenere la superficie ospitante il falò attraverso un possente getto d’acqua, raccolta all’interno della grossa sacca comunemente utilizzata per raccogliere il letame e conosciuta come “u zammeile”.
Tutto ciò, con il tempo, si è andato inevitabilmente perdendo, ma è rimasto ancora vivo il rispetto per una importante usanza del luogo.