La particolarità di Pasquale Festa Campanile è di essere riuscito a sfruttare tutti i canali della comunicazione di massa: egli è stato giornalista, scrittore, regista.
Se si dà uno sguardo al suo lungo percorso si noterà senza dubbio la prolificità della sua carriera: più di 40 film girati, 8 romanzi, decine di sceneggiature.
L’ambiente romano ha costituito senza dubbio un terreno fertile per mettere a frutto le sue ambizioni, ambiente vissuto sin dall’età di 9 anni quando i genitori Raffaele Festa Campanile e di Olga Pappadà decidono di lasciare Melfi (suo luogo di nascita, avvenuta il 28 Luglio 1927) per la capitale.
Si cimenta in pezzi giornalistici e di critica letteraria dimostrando un particolare talento per la scrittura tanto da ottenere nel 1948 (a soli 21 anni) il premio letterario La Caravella e nel 1951 il premio Marzotto per il giornalismo. In questo periodo, si dedica anche alla radio e, in seguito, alla televisione.
Le porte di Cinecittà si spalancano per lui nel 1949 quando collabora alla sceneggiatura del film Faddija – La legge della vendetta di Roberto Bianchi Montero. È qui che Pasquale Festa Campanile conosce la svolta cinematografica: da allora le sue collaborazioni si trasformeranno in professione vera e propria, in ragione di vita, scrivendo sceneggiature di capolavori cinematografici quali Rocco e i suoi fratelli (1960), dove vince il Nastro d’argento, Le quattro giornate di Napoli (1962) di Nanni Loy, Il Gattopardo (1963) di Luchino Visconti.
L’esordio dietro la macchina da presa avviene a quattro mani nel 1963 con Massimo Franciosa, già conosciuto sul set del Gattopardo: insieme dirigono Un tentativo sentimentale e l’anno successivo Le voci bianche.
Quanto basta per appropriarsi a 360 gradi di uno strumento tanto bello quanto potente, soprattutto in quegli anni: il cinema.
L’opera prima in solitaria è La costanza della ragione (1965), tratto dall’omonimo romanzo di Vasco Pratolini, dove dirige una giovanissima Catherine Deneuve.
Da allora Festa Campanile si lancia a capofitto nella produzione cinematografica: basti ricordare Rugantino (1973) con Adriano Celentano (che dirigerà anche in Qua la mano del 1980 e Bingo Bongo dell’82), Il soldato di ventura con Bud Spencer, trasposizione satirica della storica disfida di Barletta, Il ladrone con Enrico Montesano, fino ad arrivare a toccare temi delicati come l’omosessualità in Culo e camicia (1981).
Nei suoi film recitano attori del calibro di Catherine Spaak, Ugo Tognazzi, Lando Buzzanca, Laura Antonelli, Barbara Bouchet.
C’è la commedia all’italiana, c’è il rapporto con la religione, c’è l’indagine dei rapporti interpersonali, soprattutto di coppia: c’è soprattutto un modo di intendere il mondo intimamente personale, a volte grottesco, a volte amaro, a volte nostalgico.
Ma l’attività di Pasquale Festa Campanile non può dirsi esclusivamente cinematografica: si alternano infatti romanzi di grande successo, come La nonna Sabella (1957), nitido affresco in parte autobiografico della piccola borghesia provinciale meridionale, portata sin da subito sullo schermo da Dino Risi, e Per amore, solo per amore (1984), per il quale riceve il premio Campiello e nel 1993 Veronesi ne realizzerà la versione per il cinema.
Il regista muore a Roma all’età di 58 anni a causa di una neoplasia nella regione renale presto estesa anche al fegato, e lasciando la moglie Rosalba Mazzamuto.
Prima di lei ha avuto un matrimonio con la pittrice Anna Salvatore, un secondo matrimonio con una donna peruviana dalla quale ha avuto un figlio, Raffaele, e per un certo periodo è stato legato sentimentalmente alle attrici Maria Grazia Spina, Catherine Spaak e Lilli Carati.
Melfi ha dedicato alla sua memoria una piazza e un grande murale nei pressi della Villa comunale, segno tangibile di un affetto e di un attaccamento ad un artista poliedrico quale lui è stato.
E a proposito del suo lavoro instancabile, emblematica resta una sua dichiarazione:
“Buona parte della notte la passo a scrivere romanzi o copioni, sostenendomi a grappa e caffè, fumando cento sigarette al giorno… Sono fatto in modo tale che non posso mettere le marce basse, se non metto la quinta non mi diverto”.