Per la prima volta in 150 anni una donna è stata eletta Presidente della Società Italiana di Psichiatria, una delle più antiche e prestigiose Società scientifiche italiane.
È la professoressa Liliana Dell’Osso – lucana, originaria di Bernalda, direttore della clinica psichiatrica dell’Università di Pisa, tra I “Lucani Insigni 2020”, l’unica lucana presente nella banca dati online con i profili di cento esperte nelle aree scientifiche, secondo il progetto “100 donne contro gli stereotipi aree scientifiche”.
L’elezione è avvenuta nel corso del 49° Congresso che si è svolto a Genova e che ha visto la presenza di circa 1.500 psichiatri italiani.
Sarà in carica, come Presidente eletto, nel biennio 2022-2023 e come Presidente nel biennio 2024-2025.
La professoressa Dell’Osso fa parte dei Top Italian Scientists, del Board delle Top Italian Women Scientists e di 100esperte.it ; si è laureata in Medicina e Chirurgia (110/110, lode e dignità di stampa) e specializzata in Psichiatria (70/70 e lode) presso l’Università di Pisa.
È autore/coautore di oltre 900 pubblicazioni su riviste scientifiche, prevalentemente internazionali e di numerosi saggi di divulgazione scientifica.
Sostiene la Prof. Dell’Osso:
“La ricerca in Italia è sospesa in un limbo di incertezze, e in questo il problema del coinvolgimento delle donne non è da meno.
Purtroppo, anche se rispetto a vent’anni fa la situazione è certamente migliorata, le scienziate fanno ancora fatica ad eguagliare, per cariche e progressione di carriera, i colleghi maschi.
Il fatto che l’ambiente accademico sia privilegiato, teoricamente per definizione culturalmente più avanzato, non aiuta affatto.
Anzi, si risente ancor di più del pregiudizio secondo cui, se le donne sono più brave e studiose, quindi ottime nei ruoli intermedi, i ruoli apicali siano appannaggio maschile.
Alle ragazze – è il consiglio della psichiatra – suggerisco di non arrendersi, di far fronte comune e di ricordarsi che possono essere forti quanto e più degli uomini.
Quando mi sono affacciata al mondo accademico, vedevo uomini che facevano gruppo e si sostenevano a vicenda, mentre le donne combattevano le une contro le altre, restando, di fatto, isolate e creandosi attorno un ambiente in cui non potevano emergere.
Da parte mia, ho sempre cercato di promuovere un atteggiamento contrario: una volta compresa la validità di una collaboratrice, di una collega, questa andrebbe piuttosto sostenuta con tutte le proprie forze, facendo fronte comune davanti alle difficoltà.
A quel punto nessuna sentirebbe più la necessità di autolimitarsi, scoraggiata da un contesto professionale in cui vanno avanti soprattutto gli uomini, perché ognuna di noi saprebbe di essere capace, forte e di poter contare sul sostegno delle altre.
Mi ha sempre colpita profondamente, come un monito, la storia di Marie Curie.
Una vita dedicata alla ricerca, che causò anche la sua morte.
Ricercava infatti sui radioisotopi, e a causa dell’enorme quantità di radiazioni che il suo corpo aveva assorbito, persino la sua bara ha dovuto essere avvolta da una camicia di piombo.
Di lei ricordiamo il suo impegno costante, la profonda passione che l’animava, che fa apparire la sua vita non come una serie di sacrifici, ma come una storia d’amore con la scienza.
Ha anche vinto due Nobel.
Nonostante tutto questo, finché il marito è stato in vita, Marie visse nella sua ombra: i meriti accademici erano attribuiti a lui.
Solo dopo la morte del coniuge ha potuto conquistare la cattedra alla Sorbona, dove fu la prima donna a insegnare”.