Gianvito Corona, Direttore dell’Unità di Oncologia Critica Territoriale, Cure Domiciliari e Palliative dell’ASP di Potenza, è un figura di spicco per il nostro territorio in quanto teorizzatore di una pratica medica rivoluzionaria: gli impianti PICC a domicilio.
Il suo contributo espositivo durante il MACOVA di Venezia 2018, un Congresso scientifico internazionale riguardante gli accessi vascolari, è esemplificativo del pregio rappresentato dalla sua intuizione.
Nella dichiarazione rilasciata alla nostra redazione, il Dott. Corona spiega nel dettaglio ciò in cui consta il suo lavoro e l‘aspetto innovativo delle cure domiciliari, effettuate sull’intero territorio lucano.
Queste le sue parole:
“Le cure domiciliari sono una modalità di erogazione che in Italia è presente da quasi 30 anni ed è nata alla fine degli anni ’90 con il nome ADI e con l’intento di portare le cure a casa.
Le linee guida ministeriali, tutte le leggi, tutti i piani sanitari nazionali e regionali, sono andati sempre in questa direzione, cioè quella di salvaguardare il benessere psicofisico dell’ammalato, cercando di curarlo a domicilio, nella propria casa, ove possibile, cioè dove sussistano dei sistemi di sicurezza ben precisi sia per i curati che per i curanti.
Questa è stata un’enorme rivoluzione, in quanto si è scoperto, con il tempo, che la modalità appena spiegata, oltre a creare conforto per gli ammalati, di fatto è uno strumento di quella che viene comunemente definita ‘deospedalizzazione’, mirata alla riduzione progressiva dei posti letto per abitanti in Italia.
La parte meno piacevole della vicenda è che questa evoluzione della medicina e dell’erogazione della sanità in Italia è andata molto a rilento, a causa della mentalità ospedalocentrica presente nel nostro territori che, di certo, non ha aiutato a creare condizioni per favorire la situazione.
Il servizio dell’ADI è guardato con molta attenzione per diverse ragioni.
Una è che, volendo fortemente un modello di cure domiciliari complesse ed evolute, questa formula, molto apprezzata dal sottoscritto, è una ricetta perfetta, che ha creato le vere condizioni per la deospedalizzazione.
Per farle un esempio: se a domicilio non si usa tecnologia e personalità competenti, con quali strumenti si potrebbe impedire il peggio al primo segnale di allarme e correre al pronto soccorso?
Tecnologia e competenza, dunque: questi gli ingredienti per dare affidabilità al servizio.
Per renderlo effettivo, inoltre, non deve mancare una buona dose di coraggio, nonostante, al giorno d’oggi, non vi siano più sguardi sospettosi per quelli che, come me, intraprendono questo tipo di strada.
Una volta, invece, era impensabile, in un contesto fondato prettamente sulla centralità delle strutture ospedaliere, cercare di diffondere la cultura del ‘fare sanità in sicurezza a domicilio’, perché si, c’è modo di farlo: rispettando dei rigidi parametri e delle linee guida nazionali e internazionali.
L’altro ingrediente che rende apprezzato il servizio dell’ADI è la modalità di cura: una ricetta mista che consiste nella esternalizzazione dei servizi, ma a governo clinico-istituzionalizzato.
In sostanza, acquistiamo prestazioni, ma siamo noi a dirigerle dal punto di vista clinico e le procedure più complesse le eseguiamo direttamente.
Questo modello fondante dell’ASP, chiamato anche modello Venosa, piace moltissimo proprio per la sua natura ibrida.
Il sistema da me illustrato è perfettamente integrato con la rete ospedaliera; è vero che la Riforma Sanitaria regionale ha creato delle divisioni tra l’azienda ospedaliera del ‘San Carlo’ (PZ), a cui fanno riferimento alcuno ospedali, e l’ASP, quella a cui appartengo io, che si occupa soprattutto di territorio.
Tuttavia, esistono una serie di interconnessioni tra sezione ospedaliera e sezione territoriale e la mia unità operativa si può dire sia l’esempio di tutta questa integrazione.
Circa decisioni come la dimissione di un ammalato, per esempio, e dislocarlo in contesti (domicilio, lungodegenza, RSA) dove poter proseguire le cure iniziate in Ospedale, in Italia c’è un’enorme criticità.
Sussiste una scarsa continuità in questo ‘passaggio di consegne’ e i pazienti ne risentono molto.
In Basilicata abbiamo creato la Centrale Unica delle Dimissioni, un esperimento molto originale: è allocata fisicamente all’interno del San Carlo, prevedendo diramazioni anche in altri ospedali, ma è costituita da personale ASP della mia unità operativa, sicché quando giunge telematicamente la dimissione proposta, l’operatore del territorio si prende carico dell’ammalato in tempo reale.
Questo è un esempio di vera integrazione ospedale-territorio”.
Per quanto riguarda l’spetto meramente tecnico-numerico della questione:
“Esistono dei centri di coordinamento di parte pubblica.
Ce ne sono 5 nella nostra provincia (Senise, Lauria, Potenza, Villa d’Agri, Venosa) e due tra Matera e Montalbano.
In questi centri sono presenti professionisti di vario genere: medici assistenti sociali, infermieri, fisioterapisti.
Tutti loro ampliano, nel contesto delle cure domiciliari, il loro bagaglio professionale, diventando, con il tempo, anche persone specializzate nella comprensione.
Questi centri di coordinamento elaborano, insieme ai professionisti di medicina generale e dopo aver visitato l’ammalato, il cosiddetto PIT (Piano Individuale di Trattamento).
Il PIT viene trasmesso ad una cooperativa sociale, vincente di gara appaltatrice, che eroga direttamente le prestazioni: alcune, le più complesse, vengono erogate direttamente da noi (come accessi vascolari ecoguidati).
Naturalmente, i centri di coordinamento devono accertare, prima e dopo, se e come avvengono queste prestazioni, e lo fanno attraverso vari sistemi, come sopralluoghi a casa della persona interessata e una serie di cartelle cliniche che si trovano a domicilio, dove annotare tutte le prestazioni eseguite.
In provincia di Potenza, gli operatori di parte pubblica sono una trentina e coloro che lavorano direttamente a domicilio circa 150; in provincia di Matera, in proporzione, ce ne sono altri.
Il sistema, come vede, è capillare”.
Ed arriviamo, dunque, all’esperienza Veneziana, introdotta da un interessante excursus sulla carriera pregressa, funzionale a completare il quadro esplicativo:
“La mia esperienza, come quella di coloro che collaborano con me, comincia da un’attività di cure palliative, la parte più complessa delle cure domiciliare.
Gli ammalati terminali ai quali sono rivolte, con esse vedono migliorare i propri sintomi, così riuscendo a mantenere un equilibrio e uno stile di vita dignitoso fino alla fine.
Io sono un chirurgo e un palliativista e, quando ho iniziato a fare questo, ho constatato che molti di essi venivano da percorsi di cura fatti di terapie endovenose massacranti e a più riprese.
La pratica di bucare in continuazione le braccia dei pazienti ha preso sempre più piede quanto più si è andati avanti tecnologicamente e quanto più le persone hanno allungato la loro aspettativa di vita e sviluppato malattie croniche.
Per evitare situazioni in cui il paziente era talmente martoriato da non avere più spazio a sufficienza sulle braccia per incanulare e iniziare le terapie, si è pensato alla tecnologia innovativa dei PICC, cateteri venosi centrali a impianto periferico.
Questi rivoluzionari strumenti, fatti di un tessuto tecnologicamente inerte (silicone, poliuretano), possono essere inseriti in maniera ecoguidata, cioè con l’ausilio dell’ecografo, in una vena anche per moltissimi centimentri, senza creare particolari reazioni.
La tecnologia è nata tra il 2002 e il 2004, io ho iniziato nel 2006 e, da allora, abbiamo fatto oltre 2000 impianti.
Veniamo al motivo per il quale sono andato a Venezia: io e la mia equipe siamo stati i primi ad effettuare gli accessi ecoguidati direttamente a domicilio, con dei kit appositi e in una situazione di sterilità completa.
Quando ho fatto la mia prima pubblicazione a riguardo, in molti mi hanno denigrato e io devo ringraziarli per questo: le loro parole hanno attirano parecchio l’attenzione della comunità scientifica sul tema e, gradualmente, il mondo ha riconosciuto l’intuizione avuta.
Adesso tutti fanno impianti a domicilio”.
Ma il duro lavoro di cui Corona e i suoi collaboratori sono esecutori è completato nella sua funzione riabilitante anche dall’essenziale apporto del volontariato:
“Il mondo dei volontari è importantissimo all’interno del nostro sistema.
Con noi collabora l’Associazione “Gigi Ghirotti Basilicata” che, in maniera sussidiaria, cerca di colmare bisogni di tipo socio-assistenziale, non clinico.
Una delle attività, di cui sinceramente vado molto fiero, è sicuramente quella del cosiddetto ‘bagno caldo a domicilio’: un sistema di boiler a due serbatoi da 25 l viene portato a casa del paziente; programmata la temperatura adeguata, il paziente, incapace a muoversi, viene lasciato scivolare su un’amaca che, una volta sollevata con l’infermo al suo interno, funge da vasca da bagno usa e getta.
Attraverso un sistema di tubi che rilasciano acqua a inizio lavaggio e la aspirano una volta terminato, è possibile fare tutto questo direttamente sul letto dell’ammalato, senza scomodarlo con trasporti fastidiosi.
Questa attività offre la possibilità a familiari o conoscenti stretti di lavare in prima persona il degente allettato, usando i suoi detergenti personali e creando un momento di intimità e serenità davvero molto appagante.
Il volontariato è essenziale; non va a sostituire l’istituzione medica, ma aiuta a scuotere situazioni di stallo davvero tristi e preoccupanti”.
La conclusione del discorso mostra quanto la combo professionalità-umanità abbia risvolti sempre sorprendenti ed efficaci su coloro che stallano in condizioni davvero critiche, bisognosi non solo di specialisti qualificati, ma anche di anime buone pronte a guidarli in un cammino difficile da affrontare.
Lo stimato medico ha, inoltre, di recente pubblicato un articolo sulla esclusiva rivista internazionale “infection control & hospital epidemiology”.
Il suo titolo è: “The Risk of Adverse Events Related to Extended-Dwell Peripheral Intravenous Access” e riguarda un interessante studio multicentrico al quale ha partecipato in prima persona.
Un’ulteriore prova, questa, della grande considerazione e credibilità guadagnata nel corso della sua esemplare carriera.
Complimenti al Dott. Gianvito Corona e a tutti i collaboratori dell’ASP per il grande contributo, medico e umano, che ogni giorno offrono a chi ha bisogno.
Di seguito, l’articolo di sopra citato.
risk_of_adverse_events_related_to_extendeddwell_peripheral_intravenous_access