La vita è un diritto inalienabile che nessuno potrà mai mettere in discussione.
Può essere raccolto in questa riflessione il senso dell’evento che l’IIS “Gasparrini” di Melfi, in collaborazione con il Comune di Melfi e la Comunità di Sant’Egidio, ha tenuto ieri per ribadire la netta contrarietà alla pena di morte.
Come molti sapranno Melfi è per il sesto anno consecutivo “Città per la vita“, un riconoscimento che la mette in rete assieme a migliaia di località sparse in tutto il mondo che sostengono l’abolizione in toto della pena di morte.
Certo, dei passi avanti sono stati fatti ma resta ancora molto da compiere.
La missione diventa allora doppia: da un lato estirpare definitivamente una pratica macabra che è una chiara violazione dei diritti fondamentali dell’uomo; dall’altra vigilare e sensibilizzare affinché i germi della violenza che si annidano in coloro che sciaguratamente invocano la reintroduzione della pena di morte per questo o quel reato vengano debellati.
Tornando a ieri, i ragazzi del “Gasparrini” hanno voluto comunicare una serie di messaggi utilizzando principalmente il canale emotivo attraverso una serie di performance dove teatro, musica, danza, immagini e letteratura hanno viaggiato all’unisono.
Un’avventura significativa che ha visto anche la collaborazione dei due settori dell’istituto, quello economico/tecnologico e quello servizi.
Ed è doveroso ricordare i nomi degli studenti che hanno lavorato assiduamente a questo progetto: Giorgio Sena, Biagio Cocolicchio, Ilaria Fuschetto, Ilaria Ladisa, Federica Laganaro, Jacopo Gargano, Martina Poppa, Gerardo Sacino, Francesco Vurchio, Raffaele Natale, Francesco Fasulo, Francesca Cicchiello, Maria Intana, Maria F. Mele, Simona Bagnoli, Francesca Musto, Antonio Iovanni, Federico Nigro, Felisia Del Fonso, Emanuela Cignarale, Rosa Barbetta, Carmen Posca, Sabrina Tetta.
Un gruppo affiatato coadiuvato dai docenti Alfano, Balbi, Ferrari, Loconsolo, Montanarella, Morlino, Pennacchio, Romano, Sacco, Tancredi.
Come hanno ricordato le docenti Montanarella e Ferrari:
“Il lavoro presentato dai ragazzi del ‘Laboratorio Emozionale‘ è stato il risultato di un lavoro articolato e di una riflessione complessa e ricca di approfondimenti che ha permesso agli studenti di esprimersi, sinesteticamente, attraverso la musica, il ballo, la letteratura e, al contempo, di ristabilire un contatto più diretto e partecipe, realmente utile e produttivo, con le loro emozioni e con le diverse discipline.
Il monologo del ‘condannato’, ad esempio, è il risultato delle riflessioni dei ragazzi integrate attraverso citazioni da Ungaretti, Camus, Giordano Bruno, dall’Antologia di Spoon River, De Andrè e dal monologo finale del film premio Oscar, ‘American Beauty’. Un’esperienza, questa, che consente anche di acquisire competenze trasversali che i nostri studenti sapranno padroneggiare nella vita e nel lavoro”.
Tra gli interventi anche quello del vescovo della diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa, monsignor Ciro Fanelli, che ha richiamato le parole di Papa Francesco:
“Il Papa recentemente si è pronunciato chiaramente su questo tema affermando che la pena di morte è contro il Vangelo. C’è bisogno che tutti impariamo il dono del perdono e la scuola, oltre a fornire le competenze didattiche, può illuminare le giovani generazioni circa la difesa dei valori della vita”.
L’Italia, attraverso la decisione antesignana del Granducato di Toscana, è stato il primo Paese al mondo ad abolire la pena di morte. Correva l’anno 1786. Giuseppe Gabrielli, della Comunità di Sant’Egidio, ha invitato però a non abbassare la guardia:
“L’iniziativa di oggi non è scontata, deve farci riflettere. La Comunità di Sant’Egidio lavora quotidianamente attraverso una serie di iniziative per fermare questo massacro. Ad esempio, c’è una continua pressione sulle case farmaceutiche affinché non forniscano più i cocktail letali destinati ai condannati. La pena di morte non è la medicina ma il veleno che genera altro male”.
Il momento centrale dell’evento è stato quello con l’americano Bill Pelke, fondatore dell’Associazione “The Journey of Hope” (associazione dei familiari delle vittime per la riconciliazione) e Presidente della “Coalizione per l’abolizione della pena di morte” negli Stati Uniti. Bill Pelke gira in tutto il mondo per sensibilizzare e smuovere le coscienze.
Lo fa negli Stati Uniti, lo fa in Europa, lo fa in Asia. Ma Bill Pelke è anche una vittima.
Nel 1995 sua nonna, una catechista cattolica, è stata uccisa da un gruppo di ragazzine che volevano derubarla.
Tra queste c’era Paula Cooper, l’esecutrice materiale del delitto che all’epoca aveva 15 anni.
“Era il 14 Maggio 1996 – racconta Bill Pelke – quando quelle ragazzine decisero di non rientrare a scuola dopo la pausa pranzo. Si radunarono in una casa a bere e a fumare.
Decisero di far visita alla signora Ruth Pelke, con l’intento di rubarle dei soldi che sarebbero serviti per andare alla sala giochi. Ruth era molto credente e raccontava spesso storie della Bibbia servendosi anche di immagini e colori. Le ragazzine utilizzarono quella scusa per introdursi in casa.
In un attimo di distrazione la signora venne colpita alla testa e una volta a terra fu uccisa con diverse coltellate da Paula Cooper, mentre le altre ragazzine si davano da fare per trovare degli spiccioli”.
Durante il racconto, Bill Pelke ha mostrato più volte l’immagine di sua nonna, una signora bella e sorridente.
“Non riuscendo a racimolare nulla fuggirono. Il giorno dopo mio padre trovò la nonna riversa sul pavimento in un lago di sangue. Il gruppo venne arrestato. Paula si dichiarò colpevole del delitto e venne condannata a morte. Era la più giovane detenuta nel braccio della morte degli Stati Uniti.
Io ero favorevole alla pena di morte, volevo che Paula pagasse per avermi portato via la nonna. Poi un giorno, mentre ero al lavoro, ho avuto una conversione: ho provato tanta compassione, vedevo il volto di mia nonna che piangeva e che chiedeva perdono per Paula.
Fu un grande shock per me. Mi vennero allora in mente le scene della sentenza, del padre di Paula che gridava e piangeva: “State uccidendo la mia bambina!”, e di Paula che indossava una tuta blu e si disperava, lo stesso suo nonno. Decisi allora di battermi per fermare l’esecuzione. Manifestazioni e petizioni in tutto il mondo si sollevarono per fermare la condanna.
L’Italia fu uno dei Paesi più vicini alla questione, con oltre 2 milioni di firme raccolte. Anche il papa Giovanni Paolo II spinse per fermare quello che era a tutti gli effetti un “secondo omicidio”.
Dopo tante battaglie, l’esecuzione venne annullata. Paula era stata sottratta dal braccio della morte, aveva avuto una seconda chance. Oggi sono contento di poter parlare a voi giovani perché voi siete la speranza, l’incarnazione di sani ideali, e a voi dico: quando vedete o subite ingiustizie combattete, combattete sempre”.
Perché nella storia di Bill non c’è solo un dramma personale, ma il dramma di milioni di famiglie. Quanti innocenti sono morti ingiustamente, quanti errori giudiziari, quanta sofferenza.
Quando un uomo decide deliberatamente se un altro uomo può vivere o morire, il valore stesso della vita cessa di esistere.
È giunto il momento di dire basta.
Di seguito le foto della manifestazione.