Pochi giorni fa vi abbiamo parlato della tragedia capitata ad un operaio dell’Iscot ( impresa di pulizie) alla Fca di Melfi che ha perso la vita mentre stava lavorando.
Nei giorni a seguire c’è stato chi ha chiesto soluzioni per garantire assistenza sanitaria atta a servire la zona industriale di San Nicola di Melfi e chi, come il sindacato USB ha puntato il dito contro altri problemi.
Nel comunicato USB sottolinea:
“Le chiamano morti bianche quelle sul lavoro.
Chissà perché, forse per dargli una parvenza di pulizia, di tragica fatalità di cui nessuno è responsabile.
È morto un lavoratore dell’Iscot ( impresa di pulizie) alla Fca di Melfi pochi giorni fa.
Chi sono questi lavoratori?
Sono quelli che nessuno vede o fa finta di non vedere.
Fuori dalla fabbrica, sotto sole, acqua e vento, ad aspettare di rientrare a lavorare, fanno turni di lavoro spezzettati, 2 ore in fabbrica e 2 ore fuori.
In Iscot lavorano persone di ogni età e probabilmente con diversi tipi di inquadramento, si dice che i giovani lavoratori abbiano contratti di 8 ore a settimana, si dice che poi in realtà ne facciano molte di più.
Sono lavoratori che entrano negli impianti, a 30° d’estate, per pulire robot, con solventi.
Sono quelli che puliscono le linee, i bagni, sorvegliati da capi turno che gli contano i minuti, i secondi.
Sono quelli che “se non mi lamento delle condizioni di lavoro forse mi rinnovano il contratto a tempo determinato”…
Sono lavoratori che, come tutti a San Nicola di Melfi, a causa dei turni confondono il giorno con la notte.
È morto uno di questi lavoratori per un infarto.
Tutti chiedono giustamente il rafforzamento dei presidi medici ma se non si affrontano questi drammi con la consapevolezza che quasi sempre sono legati a condizioni di lavoro stressanti e pericolose, difficilmente si riusciranno a fermare.
È un fatto accertato che le persone esposte a lavori usuranti hanno un aspettativa di vita molto più bassa di chi conduce un tenore di vita più sano.
Bisogna cambiare il modo di concepire il lavoro se questo provoca la morte.
Bisogna avere il coraggio e la determinazione di ribellarsi allo sfruttamento dell’uomo in funzione del profitto che esso determina.
Lavorare per vivere e non vivere per lavorare deve diventare una battaglia di umanità e non un semplice slogan da usare all’occorrenza.
Non esiste una sola valida ragione per cui un lavoratore debba spaccarsi schiena e cuore per tanti anni sulla catena di montaggio e sul turno di notte per produrre automobili piuttosto che televisori piuttosto che qualsiasi altro lavoro che non sia di vitale importanza.
Ritmi di lavoro massacranti, turnazioni massacranti, tutto in funzione di leggi di mercato assurde.
Ecco perché riteniamo che la soluzione al dramma delle morti sui sul lavoro non sia chiedere soltanto più apparecchiature di primo soccorso.
Per quanto importante sia la loro presenza nei luoghi di lavoro crediamo che il problema vada affrontato a monte, modificando e alleggerendo radicalmente la vita, la giornata e gli orari lavorativi, nonché eliminando i turni di lavoro inutili ed estremamente nocivi”.