È considerato uno dei terremoti più disastrosi della storia locale.
La notte del 23 Luglio 1930 una scossa di 6.7 della scala Richter scuote la zona del Vulture-Melfese.
Pesante il bilancio delle vittime: 1404, tra le province di Potenza, Matera, Avellino, Benevento e Foggia.
L’epicentro è tra Lacedonia e Bisaccia dove crolla il 70% degli edifici, ma a farne le spese saranno soprattutto i centri lungo le pendici del Monte Vulture.
Melfi paga il prezzo più alto, sia dal punto di vista della perdita delle vite umane, sia dal punto di vista dei danni al patrimonio immobiliare civile e pubblico-religioso.
Nonostante la devastazione il numero delle vittime è contenuto e c’è una spiegazione a questo: molti abitanti, al momento del sisma, dormono nelle campagne per via della trebbiatura, e questo ha consentito una riduzione sensibile delle perdite di vite umane.
Il consiglio dei ministri guidato da Benito Mussolini stanzia 160 milioni di lire per la ricostruzione, cifra che si rivela insufficiente. La macchina dei soccorsi è coordinata dal prefetto di Avellino, Francesco Vicedomini, seguito dal ministro Araldo di Crollalanza.
Presso la stazione di Rocchetta Sant’Antonio giunge il treno di soccorso, utilizzato per la prima volta, comprendente una vettura per le comunicazioni radio, un vagone medico per il pronto soccorso, due vagoni di materiale sanitario e tende, uno per il sottosegretario, due destinati a 100 carabinieri e un carro attrezzi.
La ricostruzione passa attraverso la realizzazione di una serie di casette asismiche, tanto che a Melfi è sorto un intero quartiere che porta questo nome.
Gran parte degli edifici sono stati costruiti in zone geologicamente non idonee e gli stessi materiali di costruzione sono risultati scadenti.
Di conseguenza un immenso patrimonio immobiliare civile, culturale, relgioso è andato perduto.
Dopo 87 anni quanto abbiamo imparato in materia di prevenzione?