Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa di Gennaro Ungolo – Presidente associazione PALAZZO ARTE CULTURA:
“In questi giorni la cittadina di Palazzo San Gervasio è stata investita dalla disputa tra il sindaco e la comunità religiosa circa la definizione della proprietà della chiesetta dedicata a San Rocco.
La vicenda trae origine da una cartolina risalente a circa venti anni fa, riconducibile ad un ipotetico erede della famiglia d’Errico, con la quale egli dispone la donazione testamentaria della chiesetta a favore dell’Ente Morale “Biblioteca e Pinacoteca Camillo d’Errico”.
Senza entrare nel merito degli aspetti strettamente legati alla proprietà che hanno portato alle marche da bollo per ottenere chiarezza nelle sedi opportune, proviamo a trattare l’accaduto fornendo notizie e riflessioni utili a focalizzare quanto avvenuto negli anni e capire le dinamiche contemporanee.
La chiesa di San Rocco risale al 1753 quando l’Arciprete Stefano Pizzuti la fece costruire “sia per fede che per dottrina” in sostituzione di una più antica presente nell’area sottostante al castello.
Nel 1834 Vincenzo d’Errico l’acquista per destinarla al culto del santo e per farne uso di tomba di famiglia.
La chiesa ha sempre svolto sia la funzione pubblica di luogo di culto destinato alla devozione di San Rocco sia quella di tomba di famiglia.
Per lungo tempo è stata affidata alla Confraternita del SS. Crocifisso che si preoccupava dello svolgimento e calendarizzazione delle funzioni religiose.
Dualità tipica della nostra storia patria con la quale, prima dell’avvento della proprietà privata, si bilanciavano gli interessi diffusi della comunità con quelli particolari di feudatari e signorotti in una sorta di diritto condominiale idoneo a garantire la gestione di beni particolari come quello rappresentato da una chiesetta suburbana.
Un condominio pacifico, vivido e rispettoso che finora ha dimostrato di poter conciliare l’esercizio della fede da parte dei credenti e devoti al Santo con la munificenza della facoltosa famiglia ottocentesca che si accontentava e fregiava di una gentilizia dove potessero riposare i propri avi.
D’altronde a nessuno dei d’Errico, che pure hanno redatto testamenti complessi e che certo non tralasciavano l’interesse per i propri beni, è venuto mai in mente di lasciare in eredità la chiesetta, per loro era implicito ed assodato che si trattasse di un bene “indisponibile” e che non potesse appartenere al singolo discendente.
La parrocchia del SS. Crocifisso, i fedeli, i devoti a San Rocco da sempre hanno raccolto le offerte per rendere pulita, sicura ed accogliente.
Negli anni Cinquanta del Novecento hanno istituito una festa popolare di tre giorni con processione solenne il giorno 16 di agosto, concerti di famosi cantanti, giostrine, bancarelle, fuochi d’artificio, …
Sempre loro, i cittadini, hanno provveduto alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’immobile; hanno fatto questua per gli addobbi, le suppellettili, i banchi, la pulizia, le candele; hanno pagato le bollette delle utenze, sostituito il fatiscente portone d’ingresso, dato dignità ad un immobile che altrimenti sarebbe caduto in disuso e crollato come avvenuto a tante simili realtà del Bel Paese.
Oggi però c’è un nuovo padrone: l’Ente Morale d’Errico con cui ridefinire i ruoli.
Questi, infatti, facendo valere documenti di dubbia originalità, travalicando, e spesso tralasciando, le proprie finalità statutarie di custodia/valorizzazione del lascito artistico di Camillo, trascrivono carte e si “intestano” la proprietà della chiesa di San Rocco.
Utilizzano fondi pubblici non ben identificati per “irrompere” nella chiesa senza autorizzazione e provvedere ai lavori di manutenzione straordinaria.
Con modalità quantomeno irrispettose tolgono i banchi, trasportano in altro luogo tutte le suppellettili, smontano il portone d’ingresso, manomettono le bare, …
Si è proceduti senza consultare né la Diocesi né la comunità parrocchiale, che si è occupata una Chiesa consacrata e dedicata come se si fosse entrati in un locale qualunque senza le necessarie cautele atte a preservare la sacralità del luogo.
Colpisce l’indelicatezza con cui il sindaco e il consiglio di amministrazione dell’Ente Morale si siano “impossessati” del bene.
Certo non si può dire che abbiano profuso lo stesso impegno nella rivendicazione delle proprietà artistiche contro il Ministero dei Beni Culturali.
Si potrebbe invocare il possesso pluriennale, l’usucapione e altre rivendicazioni giuridiche ma resta la tristezza della comunità ancora una volta tradita dagli stessi suoi rappresentanti.
Solidarietà ai parroci, a don Teodosio Muscio che ha manifestato opposizione con chiamata in giudizio e alla comunità religiosa tutta”.