Così Monsignor Ciro Fanelli, Vescovo della diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa, a seguito degli scontri tra tifoserie che hanno portato alla morte di un 39enne di Rionero:
“Quanto avvenuto nel pomeriggio di ieri, domenica 19 gennaio, a Vaglio, che ha coinvolto alcuni nostri giovani di Rionero in Vulture e di Melfi e, indirettamente le loro famiglie, non ha nulla a che spartire non solo con lo sport e con il tifo, ma anche con l’umanità.
Una violenza insensata, probabilmente solo mascherata dalla rivalità sportiva, ha lasciato a terra una giovane vita ed ha ferito altre vite.
Con dolore di padre mi stringo alla famiglia della vittima e dei feriti, ma con responsabilità altrettanto paterna voglio esprimere anche la mia vicinanza a quanti hanno subito violenza dall’una e dall’altra parte; ma non posso non affermare con forza che è inconcepibile che una dimensione così importante e diffusa per una comunità, come lo sport, debba – ancora una volta – fare i conti con comportamenti di natura violenta.
Questi tragici eventi paradossalmente ci rivelano che il nostro contesto sociale è letteralmente assetato e affamato di valori veri, di relazioni autentiche, di riconciliazione e di pace.
Infatti, le nostre comunità – spesso ‘lacerate da lotte e discordie’ – anelano comunione.
La comunità cristiana, nell’ora presente, è chiamata ad essere ‘sale’ e ‘luce’ (Cfr. Mt 5, 13-16), portando – con la testimonianza di una vita riconciliata – il lievito nuovo della fraternità e del perdono (Cfr. Mt 13, 33).
Dobbiamo sentire forte il dovere di costruire ponti di dialogo, non muri di rancore!
Solo ripartendo dalla Parola di Dio riusciremo ad uscire dal labirinto dei pregiudizi, delle contrapposizioni, degli odi, dei rancori e delle discordie.
Non possiamo negare che spesso questi atteggiamenti rancorosi, che attraversano le nostre comunità e la nostra società, sono una delle cause che impediscono la crescita sociale e culturale del nostro territorio; questa pericolosa decrescita genera paura, che quando non la si controlla porta sempre ‘a costruire muri, prigioni, risentimenti, capri espiatori. A confondere le diversità con l’avversità’ (Don Luigi Ciotti).
Dobbiamo ‘fermarci’! Dobbiamo ‘incontrarci’! Dobbiamo chiederci con schiettezza il ‘perché’ di simili comportamenti.
Dobbiamo anche domandarci con coraggio ‘dove stiamo andando’ come Chiesa, Istituzioni, politica, agenzie educative, la scuola, la famiglia, i gruppi sportivi.
È necessario che soprattutto quanti hanno responsabilità educative verso le giovani generazioni si impegnino ancora di più per coltivare, anche con la pratica sportiva, una cultura del rispetto, del dialogo, della lealtà, della dignità della vita umana, della pace, come avviene quotidianamente in tanti oratori e in tanti spazi deputati allo sport.
Oggi, come società civile e come comunità ecclesiale, dobbiamo sentire forte la responsabilità di dare risposte concrete e di portare un forte e condiviso messaggio di riconciliazione e di pace nel cuore di quanti sono feriti dall’odio e dal rancore.
Questo è il momento in cui bisogna fare meno parole e più fatti!
Non dobbiamo dimenticare però che la rottura con Dio sfocia sempre, in modo drammatico, nella divisione e nell’odio.
Alla luce di questa verità, possiamo dire che non potrà mai esserci armonia vera nelle relazioni interpersonali, solidarietà autentica nella società, fraternità calda nella comunità ecclesiale e rispetto reale del creato, se il nostro cuore non si apre al vero, al bene, a Dio.
Sono ancora attualissime le parole di S. Massimiliano M. Kolbe, il francescano morto martire nel campo di concentramento di Auschwitz: ‘Solo l’amore crea. L’odio distrugge chi lo prova e lo fomenta’.
Affido a me e ad ogni persona di buona volontà le parole, piene di responsabilità morale e sociale, dette – quasi come un monito – da don Luigi Ciotti: ‘Occorre che ciascuno di noi apra gli occhi e si assuma con convinzione la sua parte di responsabilità in quanto custode e artefice del bene comune!'”.