Nel corso di attività d’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica ed eseguita dal personale della Squadra Mobile della Questura di Potenza, si è pervenuti alla scoperta ed alla disarticolazione di un’associazione per delinquere il cui reato fine era l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro (il cd caporalato), in particolare di numerosissimi lavoratori extra-comunitari costretti a lavorare in condizioni, per come ritenuto dal Giudice, disumane.
Dunque, l’indagine, che si è sviluppata per un lungo periodo, ha petmesso di accertare l’esistenza del fenomeno del c.d. “caporalato” anche nella provincia di Potenza, e, in particolare, nell’area nord della provincia, in cui l’attività agricola è particolarmente sviluppata specie nei settori della produzione del pomodoro e nella viticoltura.
L’investigazione – che con l’applicazione di misure cautelari, reali e personali, eseguite in data odierna, ha oggi superato un passaggio di rilievo – ha riguardato complessivamente 19 indagati.
In particolare, 6 persone sono destinatarie di misura cautelare per aver dato vita ad una associazione a delinquere che aveva come reato-fine quello di cui all’art. 603- bis c.p (vale a dire il cd “caporalato” finalizzato allo sfruttamento dei lavoratori), le altre, invece, per concorso nella sola attività di sfruttamento del lavoro o per false attestazioni a p.u.
In pratica si accertava, durante le indagini, che oltre alle condotte di sfruttamento del lavoro e del suo utilizzo in condizioni degradanti, venivano, anche, “vendute” (per un cifra non accettata) dai datori di lavoro italiani ad alcuni lavoratori extra-comunitari, delle compiacenti dichiarazioni in cui veniva falsamente attestato che il lavoratore extracomunitario usufruiva di alloggio stabile in fabbricato appartenente agli indagati.
Il tutto per consentire al lavoratore di ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno.
I’associazione operava nei comuni di Lavello, Venosa, Montemilone, Maschito, Palazzo San Gervasio e Banzi, tutti centri interessati dalla raccolta del pomodoro e dell’uva, che viene svolta, oramai, per lo più da parte di cittadini extracomunitari di origine magrebina e dell’Africa subshariana.
Questi ultimi erano tutti alloggiati in una vera e propria bidonville allestita nelle vicinanze di un edificio meglio conosciuto come “casa gialla”, in cui venivano ricoverati i furgoni utilizzati per condurre, dietro remunerazione, i braccianti a lavoro nei vari campi della zona.
Dalle indagini svolte nel corso del tempo è emerso che nella suddetta bidonville sono state accampate fino a 200 persone impiegate nella raccolta stagionale degli ortaggi e della frutta.
Pertanto, l’edificio, stabilmente utilizzato come luogo di in cui venivano consumati i reati per cui si procede, è stato sottoposto a sequestro preventivo ai fini della successiva confisca.
Risultava, infatti, che la struttura, era utilizzata come vero e proprio supporto logistico della bidonville, in quanto dalla “casa gialla” partivano le derivazioni per la fornitura di luce e acqua alla tendopoli e dalla casa gialla veniva
smistato il “personale” da impiegare al servizio dei diversi imprenditori agricoli che ne facevano richiesta.
L’immobile in questione, dunque, era completamente asservito alle illecite finalità di sfruttamento dei braccianti che qui si recavano per ricevere, dietro pagamento, acqua potabile, cibo e finanche l’energia elettrica per poter ricaricare i propri telefoni (50 centesimi al giorno a fronte di una paga oraria miserabile).
La complessa indagine svolta trae origine da un controllo effettuato dalla Squadra Mobile di Potenza nell’agosto del 2017, nel corso del quale fu arrestato uno degli attuali indagati proprio per il reato di sfruttamento del lavoro, mentre trasportava a bordo del suo autoveicolo braccianti destinati.
Nel corso di quelle indagini veniva rinvenuto (occultato sulla persona dell’arrestato) un foglio contenente un elenco di ben 91 nominativi di cittadini italiani e stranieri, con a fianco riportate delle cifre messe in colonna sotto la scritta “bins”, ossia cassoni.
Da quel momento ie indagini si sono sviluppate per verificare l’abitualità della condotta e per individuare la struttura organizzata che, evidentemente, operava alle spalle dell’arrestato.
Le pazienti e laboriose investigazioni hanno così permesso di esplorare il mondo dei bracciantato agricolo che opera nell’alto potentino e di far luce su di un articolato sistema di sfruttamento della manodopera straniera (e in parte italiana) in occasione dei periodi di raccolta del pomodoro e dell’uva, che ha coinvolto una quantità
considerevole di lavoratori, vulnerabili in quanto in evidente stato di bisogno, sfruttata al fine di ottenere forza-lavoro a basso costo e guadagni sempre maggiori, che aveva la sua base nella predetta “casa gialla” e nella limitrofa bidonville.
Le indagini hanno consentito di accertare le modalità attraverso cui si determinava lo svilimento della dignità dei lavoratori: le persone erano alloggiate all’interno di ruderi fatiscenti privi di alcun tipo di servizio, illecitamente venivano “reclutati” su strada da intermediari senza scrupoli pronti ad esigere del denaro per il loro trasporto, sostentamento e per qualsiasi altro servizio c.d. collaterale (come detto, ad esempio, per la somministrazione di acqua o di energia elettrica), venivano illecitamente pagati quasi sempre non a tariffa oraria come previsto dai contratti collettivi di lavoro e dalla legge, ma a cottimo, per pochi euro per ogni “bins” da tre quintali, riempito con il prodotto raccolto e, laddove pagati a tariffa oraria, la stessa era di oltre il 30% inferiore rispetto a quella sindacale (senza contare l’assenza di qualsiasi emolumento previdenziale e assistenziale e senza contare che parte del guadagno andava ai caporali).
I destinatari delle misure cautelari sono un imprenditore agricolo del posto, P. M., originario di Palazzo San Gervasio, ritenuto il capo dell’associazione (nonché gestore e proprietario della suddetta “casa gialla”) ed altri cinque caporali, tutti di nazionalità africana.
Le indagini sono tuttora in corso.