Il 23 Luglio del 1930 una terribile sciagura si scagliò nel Sud Italia: un tremendo terremoto coinvolse la zona dell’Irpinia e del Vulture.
Fu un sisma di magnitudo momento 6,7 (X grado della Scala Mercalli), con epicentro in Irpinia, tra Lacedonia e Bisaccia.
Il sisma colpì diffusamente la Basilicata, la Campania e la Puglia, provocando i suoi massimi effetti distruttivi nell’area appenninica compresa fra le province di Potenza, Matera, Avellino, Benevento e Foggia.
Il terremoto causò la morte di 1404 persone prevalentemente nelle province di Avellino e Potenza, interessando oltre 50 comuni di 7 province.
La sciagura prese il nome dal monte Vulture, in quanto alle sue pendici si verificarono danni ingentissimi.
Infatti, della provincia di Potenza furono colpiti specialmente i paesi ai piedi del silente vulcano, tra cui:
- Rapolla;
- Barile;
- Rionero;
- Atella;
- Melfi.
La causa principale dei gravi danni e delle distruzioni provocate dalla scossa del 23 Luglio risiede parzialmente alle scadenti caratteristiche dei terreni sui quali erano stati edificati i centri abitati (generalmente argillosi e sabbiosi, con intercalate lenti di ghiaie), ma essenzialmente nella fragilità e nel degrado del patrimonio abitativo, rappresentato da case tirate su sovrapponendo pietre di fiume, legate fra loro da pessima malta o addirittura da fango essiccato.
Un treno di soccorsi, coordinati dal prefetto di Avellino, Francesco Vicedomini, raggiunse la stazione di Rocchetta Santa Venere col sottosegretario ai Lavori Pubblici, Antonio Leoni.
Leoni divise la zona in quattro comandi (Ariano di Puglia, San Nicola Baronia, Lacedonia e Melfi), affidati ad altrettanti ispettori superiori del ministero.
Una pesante censura colpì la proliferazione di reali notizie sul sisma, le cui conseguenze furono minimizzate dalla stampa nazionale.
Questo non consentì un intervento tempestivo e dignitoso in termini di soccorsi e ricostruzioni:
- i primi sforzi, volti alla cura della popolazione superstite e al recupero dei cadaveri, spesso erano attuati con mezzi inadeguati;
- fu necessario rifornire i comuni interessati di acqua potabile per mezzo di autobotti fornite dall’Azienda Autonoma Statale della Strada e furono distribuite duemila tende, numero che si rivelò poi insufficiente.
Il prefetto di Potenza ordinò l’invio di generi alimentari secondo quote di ripartizione proporzionali ai danni e alla popolazione dei paesi:
- Melfi ricevette il 30 % dei viveri;
- a Rionero spettò il 25 %;
- Rapolla, Barile, Atella e Ripacandida ottennero il 10 % ciascuno.
Il Genio civile dovette ampliare i cimiteri di Villanova e Aquilonia per poter accogliere le salme delle vittime e il Consiglio dei ministri del 29 Luglio 1930 stanziò 100 milioni di lire.
La somma, rivelatasi poi inadeguata a coprire i danni, alla fine si fermò a 160 milioni, malgrado le richieste del ministero dei Lavori Pubblici.
Il piano per la ricostruzione fu varato con il RDL del 3 Agosto 1930 n. 1065 e prevedette un sussidio del 40 % del costo dei lavori ritenuti necessari in base a perizie del Genio civile.
Per favorire il decentramento della popolazione, nelle zone rurali fu consentito il cumulo con i benefici (previsti dalla legge n. 3134 sulla bonifica integrale, risalente al 24 Dicembre 1928) che fecero assommare il contributo per le abitazioni rurali anche all’85 %.
I benefici riguardarono 63 comuni e ciò portò a forti proteste da parte degli “esclusi”, anch’essi gravemente danneggiati.
La restante parte del costo di ricostruzione doveva essere coperta da mutui, esenti da imposte, la cui erogazione venne affidata al “Consorzio per le sovvenzioni ipotecarie” del Banco di Napoli.
I contrasti sorti fra consorzio e ministero sulla valutazione dei danni, tuttavia, ne rallentarono fortemente la concessione.
Per i senzatetto furono allestite delle tende: il regime scelse deliberatamente di non costruire baracche, affermando di voler risolvere l’emergenza abitativa in maniera definitiva.
Si decise, quindi, di edificare le cosiddette “casette asismiche” che avrebbero dovuto essere pronte per l’Ottobre del 1930, ma ulteriori ritardi nei lavori spinsero i prefetti a sollecitare l’intervento del governo affinché concedesse la costruzione (iniziata a Settembre) di mille baracche e intensificasse i lavori su 961 casette (ultimate a fine Ottobre con una spesa lievitata a 68 milioni di lire).
Sono trascorsi ormai 89 anni, ma i ricordi di quel tragico episodio rimangono ancora vividi nella memoria dei nostri bisnonni, di ingiallite fotografie o di vecchi articoli di giornale che raccontano delle tante vittime innocenti rimaste fatalmente coinvolte.