Il Consiglio regionale della Basilicata, riunitosi nel pomeriggio di oggi in seduta straordinaria, in modalità telematica, ha approvato all’unanimità una risoluzione, sottoscritta da tutti i gruppi consiliari, sul Tribunale di Melfi chiuso nel 2013.
L’Assemblea, convocata su richiesta dei consiglieri Leggieri, Perrino e Carlucci (M5s), Bellettieri (Fi), Trerotola (Pl), Cifarelli (Pd) e Braia (Iv), dopo aver ascoltato la comunicazione del presidente della Regione, Vito Bardi, sulla questione, ha approvato il documento con il quale si conferisce “al Presidente della Giunta regionale ogni più ampio potere, affinché sensibilizzi i ministeri competenti e la Commissione interministeriale di cui al decreto interministeriale dei ministri della Giustizia e per il Sud e la Coesione territoriale del 14.05.2021, ponendo in essere ogni atto idoneo finalizzato alla revisione della geografia giudiziaria in Basilicata e alla riapertura del soppresso Tribunale di Melfi e della sezione distaccata del Tribunale di Matera con sede a Pisticci. Si impegna, inoltre, il Governo regionale a reperire idonee risorse finanziarie per sostenere le spese di funzionamento dei suddetti uffici giudiziari”.
Si legge in premessa:
“La seduta straordinaria del Consiglio è stata convocata al fine di discutere sulle opportunità derivanti dalla Commissione interministeriale per la Giustizia nel Sud, costituita con decreto dei ministeri della Giustizia per il Sud e la Coesione territoriale del 14 maggio 2021 in merito alla possibilità di porre all’attenzione del predetto organismo l’esigenza di rivedere la geografia giudiziaria ed esaminare la questione del soppresso Tribunale di Melfi (accorpato nel 2013 al Tribunale di Potenza) così da porre in essere ogni azione valida per riproporre la riapertura dei soppressi uffici giudiziari della città federiciana, corroborata da dati ed altri elementi oggettivi.
La Commissione interministeriale, composta dai rappresentanti dei vertici di uffici giudiziari del Sud, da avvocati e professori universitari, operanti nel Mezzogiorno e da dirigenti ministeriali e presieduta da Maria Rosaria Covelli, capo dell’Ispettorato generale del ministero della Giustizia, già presidente del Tribunale di Viterbo, ogni mese, come rilevato dal Ministero della Giustizia, ‘riferirà sull’andamento dei lavori ai ministri competenti.
Gli esperti della Commissione avranno il compito di ‘individuare e valorizzare le best practices esistenti al fine di superare eventuali criticità’ per l’amministrazione della giustizia nei distretti del Sud Italia ed entro il 30 settembre la Commissione trasmetterà ai ministri una relazione sull’esito dei lavori.
‘Il punto di partenza’, come ha spiegato il Ministero della Giustizia, ‘è la consapevolezza che una giustizia più efficace ed efficiente garantisce le condizioni di legalità e sicurezza necessarie per favorire lo sviluppo delle aree del Mezzogiorno, in coerenza con le priorità indicate dal governo nel Piano nazionale di ripresa e resilienza’. Il decreto interministeriale, all’articolo 3 sulla ‘Partecipazione ai lavori della Commissione’, prevede per la ‘complessità e specificità dei temi da trattare, la necessità di acquisire dati informativi o contributi da persone o rappresentanti di Enti che hanno particolare esperienza nel settore’ e che ‘il Presidente della Commissione può invitarli a partecipare a una o più riunioni, per essere sentiti su specifiche questioni’.
Il dibattito aperto attorno alla riorganizzazione dei tribunali italiani, a seguito della legge delega 148/2011, è una di quelle questioni che ha a che fare non solo con i temi della giustizia, del diritto e della legalità o con i principi di economicità ed efficienza della macchina giudiziaria, ma per molti versi riguarda l’identità e la storia di ampi territori e la qualità della nostra democrazia.
È questo il contesto nel quale leggere la vicenda del tribunale di Melfi e la reazione immediata seguita alla notizia della soppressione dello presidio stesso.
Una mobilitazione partita dall’ordine degli avvocati di Melfi e subito trasformatasi in mobilitazione dell’intero territorio del Vulture-melfese-Alto Bradano; non un’agitazione di un solo ordine professionale ma di intere popolazioni.
La soppressione del Tribunale di Melfi è ancora una ferita aperta per le popolazioni del Vulture-melfese.
La riforma del Governo Monti, come tutte le riforme ‘tecniche’, era stata ideata per un risparmio di spesa e una maggiore efficienza da ottenersi attraverso la soppressione dei ‘piccoli’ tribunali.
Tra i quattro tribunali della regione si è deciso di sopprimere Melfi che aveva tutte le carte in regola secondo i parametri stabiliti dalla Legge di Riforma.
Melfi, infatti, da analisi del Ministero stesso, era stata dichiarata ‘intangibile’.
Si è invece cancellata una storia di oltre un secolo.
Fin da subito sono stati numerosissimi gli incontri politici e le proteste soprattutto per far comprendere l’importanza strategica di questo presidio”.
Si sottolinea nella risoluzione:
“Il Tribunale e la Procura di Melfi hanno svolto un decisivo ruolo di contrasto alla criminalità organizzata pugliese e campana, attratta dagli investimenti industriali.
La soppressione di questi presidi di giustizia e di legalità, in un territorio, il Vulture-Melfese, con circa 100 mila residenti, teatro nel recente passato di una terribile guerra tra clan mafiosi, con decine di efferati omicidi e lupare bianche, ha avuto ed ha tuttora conseguenze negative nella lotta alla criminalità organizzata.
In particolare, preme sulla parte del Vulture-melfese la criminalità pugliese foggiana che è attualmente la più pericolosa e la più efferata d’Italia.
E c’è poi il diritto dei cittadini di quest’area ad una giustizia in tempi europei, mentre il Tribunale di Potenza ha un carico di lavoro con aggiornamenti di sedute di procedimenti civili anche di due anni.
Quanto ai costi del cosiddetto risparmio, esso è totalmente irrilevante per la spesa pubblica, si pensi che i costi di gestione del tribunale ammontano a circa 200 mila euro annui, sottovalutando i soldi spesi per l’accorpamento del Tribunale di Melfi con quello di Potenza, le spese a carico di cittadini ed avvocati, le spese per il trasferimento dei detenuti e quelle per lo spostamento continuo dei fascicoli poiché tutto l’archivio, dal 1860 ad oggi, si trova ancora a Melfi. La legge di riforma, inoltre, prevedeva la verifica sul funzionamento delle soppressioni/accorpamenti ogni tre anni.
Inutile dire che dal 2013 ad oggi nessuna verifica è mai stata fatta.
Il paradosso di un risparmio di spesa mai verificato.
I disservizi creati dalla inoperatività del presidio giudiziario della città di Melfi sono moltissimi; a partire dal rinvio costante delle udienze, alla carenza endemica di organico, alla mancanza di infrastrutture adeguate.
La soppressione del Tribunale di Melfi e il suo accorpamento con il presidio di Potenza, invece, producono un aggravio di costi di oltre 500 mila euro l’anno alla Regione Basilicata e la necessità di reperire non meno di ulteriori 4 milioni di euro per procedere ad una riprogettazione completa di tutti gli spazi attualmente a disposizione presso il Tribunale del capoluogo.
Inoltre, è bene sottolineare, che i numeri che si registrano al Tribunale di Potenza a seguito dell’accorpamento di Melfi altro non fanno che indebolire ulteriormente la regione.
Da qualche anno vi è infatti, sempre in un’ottica di revisione della geografia giudiziaria, la tentazione di ‘mettere mano’ anche alle Corti di Appello.
Una di queste Corti di Appello sarebbe proprio quella di Potenza, destinata a scomparire e, con essa, ovviamente, sono a rischio anche i tribunali di Matera e Lagonegro. La questione Melfi dunque è di primaria importanza per un territorio, il Vulture, ma ha ricadute importanti anche sull’assetto e sulla tenuta di una intera Regione”.
Sono intervenuti i consiglieri Leggieri, Carlucci e Perrino (M5s), Cifarelli (Pd), Bellettieri (Fi), Zullino, Sileo e Aliandro (Lega), Polese e Braia (Iv), Vizziello, Coviello, Quarto (Fdi), Trerotola (Pl).